Addio caro Sergio Finardi
Ci è arrivata mercoledì mattina una mail triste da Chicago: «Ti devo dare una brutta notizia, Sergio è morto. Negli ultimi tre mesi se l’è portato via una malattia incurabile». Triste, inaspettata e dolorosa la notizia su Sergio Finardi, storico collaboratore del manifesto.
Era nato a Cremona nel 1950, aveva pressapoco la nostra età. Apparteneva alla genìa dei «rossi ed esperti». Era un teorico di logistica militare e di commercio di armamenti. Aveva studiato dall’Italia in giro per tutto il mondo, filosofia alla Statale di Milano e storia economica alla Stockholm Universitet, specializzandosi poi nello studio dei sistemi strategici internazionali, con particolare riferimento a trasporto e armamenti.
Viveva dal 1994 negli Stati Uniti e dirigeva il centro di ricerca «TransArms» di Chicago, che si occupa di scenari strategici e di logistica dei trasferimenti di armi.
La sua intensa attività di ricerca investigativa sui conflitti armati in Africa, America Centrale, Csi, Medio Oriente e Asia del sud-est é testimoniata in numerosi libri, rapporti ed articoli.
Ricordiamone tre, fondamentali per chi si batte contro la guerra: «L impero dei miei stivali. Corrispondenze dagli Usa», scritto insieme a Giamila Fantuzzi, la sua compagna (edito da Jaca Book); «Le strade delle armi», scritto con Carlo Tombola (edito da Jaca Book) e «Stati d eccezione. Zone e porti franchi nell economia-mondo» (edito da Franco Angeli).
Dal 2004 è stato consulente del Segretariato internazionale di Amnesty International. Nel 2008 é stato di stanza a Goma (DRC orientale), epicentro del conflitto tra esercito congolese e milizie armate, anche come esperto d’aviazione per il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ha scritto tre libri fondamentali per ogni pacifista.
Noi vogliamo ricordarlo per il rigore delle sue inchieste sul manifesto: fu lui a rivelare l’esistenza delle extraordinary rendition, le catture coperte di presunti terroristi prelevati dalla Cia e trasportati con voli di linea irregolari in relative prigioni della Cia nelle basi Usa disperse in tutta Europa e non solo.
Da quella sua inchiesta nacque il report di Amnesty International che sollevò nel mondo la questione.
E poi la sua puntigliosità nel sottolineare che le armi che l’Italia di Berlusconi inviava ai kurdi era il riciclo di uno stock che avrebbe dovuto essere distrutto già nel 2006.
E guai a sbagliarsi passando i suoi articoli.
Con Sergio, strenuo amico di questo giornale che non smetteva di amare e rimproverare, non parlavamo solo di armi ma anche di poesia e letteratura.
Ricordo la sua particolare, sorprendente attenzione ai processi materiali sottesi alle opere di Franz Kafka. Un compagno e un amico così non lo troveremo più.
Addio Sergio. A Giamila e a chi lo ha amato, l’abbraccio del collettivo delmanifesto.
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