«Stasera restatevene a casa e guardate la tv, domani sarà Il giorno», ha fatto dire a militanti e sostenitori, che in gran parte la sono stata a sentire, come sempre. Le strade della metropoli non erano così sgombre di traffico caotico dai tempi dei rastrellamenti militari e i coprifuoco. Ma dalle 4 del pomeriggio fino a notte inoltrata, attorno alla storica sede della Lega nazionale per la democrazia su Shwegondaing road, folle di migliaia di giovani danzanti avvolti di rosso col pavone combattente dell’Lnd su ogni angolo della faccia e del corpo, file di militanti anziani più posati armati di telefonini per fare i selfie con le dita a V, hanno voluto anticipare il giubileo del plebiscito che nei loro cuori è scontato. I primi, ancora parziali risultati sembrano dalla loro parte.
Una grande tv trasmette lo spoglio scheda per scheda da quattro diverse città e quelle per l’Lnd sono accolte da boati e applausi. Bisognerà attendere però oggi, quando la Commissione elettorale fornirà i primi dati ufficiali, per vedere quanta verità c’è nelle prime entusiastiche proiezioni private del partito che si attribuisce il 67 per cento, e dunque il 51 per cento dei 491 seggi nei due rami del nuovo Parlamento. Sarebbero tanti da neutralizzare il plotone di deputati in quota fissa per l’esercito, che sono il 25 per cento e non vengono eletti dal popolo, e i parlamentari regolarmente votati sotto il simbolo dell’Usdp, il partito del governo guidato dall’avversario diretto di Suu Kyi, l’ex generale e attuale presidente Thein Sein.
Già nel 1990 ci fu un plebiscito analogo, e i soldati ripresero subito possesso del potere. Ma stavolta è diverso, a Rangoon c’è la diplomazia e la stampa di mezzo mondo a guardare cio’ che sta accadendo nel Paese che vuole scrollarsi di dosso mezzo secolo di dittatura. Se fossero vere, le cifre renderebbero realistico il sogno che la Lady ha espresso con una frase a effetto: «Sarò sopra al Presidente». Voleva dire che prenderà lei lo scettro del comando anche se non potrà essere eletta formalmente a causa di una delle tante clausole capestro della Costituzione (il marito inglese
ndr) con le quali gli ex generali tenteranno ancora, a conti fatti, di arginare gli effetti della sua profetizzata vittoria.
Prima di venire incoronata regina, oltre all’incognita dei conteggi notturni finali e dei brogli che qua e là sarebbero già affiorati, sarà decisiva la sua trattativa con i leader delle minoranze etniche, considerando che il 60 per cento dei 90 partiti in lizza è costituito dai rappresentanti di genti diverse dai bamar, la maggioranza della popolazione che ha sempre reclamato il diritto di governare sull’intera Unione della Birmania, prima coi militari dittatori e ora con “Amay”, Madre Suu.
Nelle strade deserte coi mercati e i negozi ineditamente chiusi attorno a Chinatown, come sulla Lanmadaw, in lunghe file ordinatissime sotto il sole o al riparo da ombrelli e tettoie di tela, l’attesa è durata in media dalle due alle tre ore, e l’afflusso sarebbe stato ovunque massiccio. Un sacrificio minimo — ci hanno detto tutti senza eccezioni — per dare un contributo al “Grande cambio” che sta per avvenire nel loro Paese. C’è anche un elettore arrivato dagli Stati Uniti per portare personalmente la madre 96enne al seggio, e la spinge sulla sedia a rotelle tra i sorrisi di compiacimento dei votanti in fila che le fanno spazio per passare.
Quando chiediamo se conoscono il programma elettorale dell’Lnd, molti non rispondono imbarazzati. Ma un uomo che parla inglese spiega che al programma ci si pensa domani, adesso è il tempo di cambiare la testa. «Noi daremo a Daw Suu le braccia e le gambe», grida con entusiasmo un ragazzo, subito azzittito perché non si puo’ fare campagna ai seggi. La Lega non ha vinto in tutta la Birmania, ma ha prevalso nelle aree urbane. E persino in uno dei distretti di Naypydaw, dove vivono le famiglie dei generali.