Gli stessi Putin e Hollande, in una intensa telefonata di più di mezz’ora, si sono scambiati proposte e considerazioni strategiche in attesa di vedersi presto, a Mosca, il 26 novembre. Si è parlato poco di politica e molto di azioni militari in questa insolita alleanza naturale tra due nazioni ugualmente colpite dal terrorismo dell’Is. E non è un particolare da poco. Nell’ansia legalista della Russia di Putin, l’escalation congiunta di Mosca e Parigi trova infatti la sua legittimità nell’articolo 51 dello statuto Onu che sancisce il “diritto di uno Stato all’autodifesa”. Con tempismo, forse ben studiato, Mosca ha infatti ufficializzato proprio ieri quello che tutti sapevano da tempo: la strage dell’aereo delle vacanze, l’Airbus esploso in volo con tutti i suoi 224 passeggeri il 31 ottobre scorso sui cieli del Sinai, è stato un attacco deliberato alla Russia, programmato e messo in atto dal Califfato due settimane prima dei massacri che hanno sconvolto Parigi. Tra i bagagli dei turisti russi di ritorno a San Pietroburgo qualcuno, forse con la complicità del personale egiziano dello scalo di Sharm el Sheikh, ha messo una bomba artigianale di oltre un chilo di esplosivo.
La scontatissima “rivelazione” dei servizi segreti ha scatenato Putin secondo uno schema tristemente collaudato: «Non asciugheremo mai le nostre lacrime ma questo non ci impedirà di trovare i criminali. Li cercheremo dappertutto, ovunque si nascondano, li troveremo e li puniremo ». Parole durissime, appena più trattenute rispetto a quelle storiche pronunziate nel 1999 dopo le bombe cecene in due condomini di Mosca: «Li troveremo anche dentro ai loro cessi». Ma il senso e la rabbia erano quelli. Non a caso, quella antica espressione è stata subito scelta, come fosse stata detta ieri, da migliaia di frequentatori di Internet per urlare la propria indignazione e il loro slancio patriottico a favore della nuova offensiva russa in Siria. Un modo per esorcizzare la paura di altri attentati che intanto dilaga insieme alle notizie che arrivano dalla Siria. Paura invisibile ma evidente. Sui portoni di molte case la polizia ha affisso foto segnaletiche di inquietanti personaggi con preghiera di «avvisare immediatamente in caso di avvistamento». Alla Duma si parla di chiudere i voli civili con l’Europa, la Turchia e la Tunisia. Qualcuno propone di reintrodurre il sovietico “visto d’uscita”, con controlli personali e familiari per ogni cittadino che volesse recarsi all’estero. Agenzie di viaggi, ma anche negozi del centro, parchi, sale da concerti, registrano un brusco calo di presenze. Su un sito molto popolare si possono leggere i «consigli dei migliori esperti antiterrorismo». Dicono di non «dare mai le spalle alla folla», di «controllare personalmente che le uscite di sicurezza funzionino prima di sedersi in un cinema», «stazionare il meno possibile in luoghi frequentati da troppe persone», «segnalare alla polizia ogni persona o episodio sospetti».
Ma a giustificare le paure ci pensa la guerra stessa. Le azioni di Aviazione e Marina russa, «impegnate nella lotta al terrorismo » riempiono nuovamente i telegiornali. L’utilizzo dei bombardieri a lungo raggio sarebbe stato devastante. I Tupolev 22 M3 avrebbero effettuato in un solo giorno 127 missioni su 206 obiettivi controllati dallo stato islamico distruggendo, secondo il ministero della Difesa, 140 strutture, 10 depositi di armi e quattro centri di comando. Cifre asettiche, come sempre nei bollettini di guerra. All’Onu e presso l’organizzazione Human Rights Watch si parla di centri medici bombardati e di molte vittime civili. Con risposte indignate dell’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Safronkov contro la «politicizzazione dei diritti umani». La guerra, quella vera, è cominciata; la pietà per i civili, rimandata ad altre occasioni.