Unicredit ,18mila tagli in Europa 6900 in Italia. Sindacati in trincea

by redazione | 12 Novembre 2015 9:25

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MILANO. Unicredit mostra i muscoli agli investitori, con un piano triennale di risparmi per 1,6 miliardi di euro, mediante 18.200 esuberi nel triennio, comprese 7mila persone che lavorano in società che usciranno dal perimetro di gruppo come la banca in Ucraina, la controllata del risparmio gestito Pioneer – proprio ieri è stato perfezionato il contratto di condominio con Santander – e la Uccmb dei crediti problematici già venduta a Prelios e Fortress. Gli esodi da cessioni presto saliranno per l’annunciata vendita di Unicredit leasing, o quella della rete commerciale in Austria (attesa ma che resta in cantiere, mentre da subito si smantella la direzione generale di Vienna, per assegnare le partecipazioni nei paesi del Centro Est Europa (Cee) alla holding milanese.
L’aver fornito i numeri tutti insieme – prepensionamenti e blocco del turnover insieme al personale “venduto”, per un organico che calerà a 111mila dipendenti – sembra una strategia della banca per convincere il mercato che, dopo un periodo di appannamento, la redditività può risalire fino all’11% (indice Rote), sopra al costo del capitale; e scacciare i fantasmi ricorrenti per cui servirebbe ricapitalizzare. Come ha detto l’ad Federico Ghizzoni, «sarebbe assurdo chiedere soldi con questi numeri», anche perché con meno costi e focus sulle attività redditizie – gestioni patrimoniali, i business nell’area Cee, i «servizi di negoziazione e consulenza alle imprese» – ci saranno anche più utili (5,3 miliardi a fine piano, oltre il doppio dell’utile netto 2014), e il patrimonio 2018 salirà a un più sicuro 12,6% degli attivi ponderati per il rischio, contro un 10,53% attuale e così da far promettere una dote da 4,8 miliardi di dividendi in contanti. «E’ un piano ambizioso ma soprattutto realistico – ha detto il capoazienda al termine del cda, che ha esaminato la trimestrale chiusa in utile per 507 milioni, in calo del 29% ma oltre le attese degli operatori – e basato su azioni che dipendono da scelte manageriali». Tra queste il piatto forte resta la scure sui costi. Mai stati veramente sotto controllo, se si parla delle controllate (dal 2007) in Germania e Austria, dove malgrado la lunga crisi Unicredit ha lasciato il guinzaglio lungo, anche a ciò costretta dal patriottismo delle locali vigilanze bancarie. Dei 12.200 veri esuberi (un 10% dirigenti), 2.300 saranno tedeschi, 2.050 in Austria, 1.100 nel resto d’Europa. In Italia le nuove uscite saranno 540, di cui 300 dirigenti: e si aggiungono ai 5.100 esuberi annunciati nel 2014 (2.400 già avvenuti), e a un altro migliaio di Uccmb e realtà nostrane operanti all’estero. Contestualmente, Unicredit stima di chiudere 800 filiali (150-200 in Italia), più fino ad altre 1.500 agenzie soppresse o trasformate per la crescente digitalizzazione, sostenuta da investimenti triennali da 1,2 miliardi. «Il management non pensi di scaricare i costi di risanamento sui lavoratori riducendo l’occupazione – ha detto Agostino Megale, segretario della Fisac Cgil -. Resta determinante gestire gli esuberi con le uscite volontarie, e negoziare in parallelo un piano assunzioni per i giovani che allo stato non c’è». Per la parte italiana, come d’uso, gli esodi sono gestiti in accordo con i sindacati, che ieri hanno incontrato i manager. «Tutta la nostra contrarietà per l’ennesimo piano di contrazione e non rilancio di Unicredit – ha fatto eco Mauro Morelli, segretario Fabi – che dal 2007 in Italia ha tagliato 30mila posti e ora sembra continuare la strategia di ridimensionamento che non ha portato da nessuna parte».
Anche la Borsa, che i tagli li adora, ha accolto senza slancio le notizie. Se dopo gli annunci Unicredit s’era accesa fino a un +3%, ha poi frenato e chiuso in calo dello 0,08% a 5,91 euro, con un indice Stoxx banche europee a +0,45%. Gli obiettivi di una redditività superiore a quella di Intesa Sanpaolo, o di commissioni in crescita media annua del 6,3% nel triennio, sono sembrati ambiziosi, specie perchè i tassi resteranno vicino a zero comprimendo il margine di interesse (la banca stima 1% di crescita annua). Ma forse, stando alle voci degli ultimi tempi, poteva andare peggio. O, come ha scritto Credit Suisse, «date le nostre attese non troppo alte, siamo positivamente sorpresi dal piano, che cerca di rilanciare gli utili senza chiedere soldi ai soci».

 

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