Una libertà contagiosa

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Adele Cambria

Una gior­na­li­sta ribelle. Così si legge nel sot­to­ti­tolo della sua auto­bio­gra­fia, iro­ni­ca­mente inti­to­lata Nove dimis­sioni e mezzo (Don­zelli, 2010), dove rac­conta la sua sto­ria di gior­na­li­sta e le sue bat­ta­glie di libertà. Adele Cam­bria ha attra­ver­sato un pezzo della sto­ria d’Italia e della sua infor­ma­zione, ha fre­quen­tato i suoi intel­let­tuali, ha scritto da pro­ta­go­ni­sta pagine del nostro fem­mi­ni­smo. Ha lavo­rato per Paese Sera, La Stampa, L’Europeo e L’’Unità, Noi donne, di cui è stata una fon­da­trice, ha diretto Effe negli anni settanta.Era una minuta ed ele­gante donna del sud, nata a Reg­gio Cala­bria nel 1931. Si era lau­reata in giu­ri­spru­denza a Mes­sina per poi sbar­care a Roma, gio­va­nis­sima. Obiet­tivo, scri­vere: voleva capar­bia­mente essere una testi­mone attiva del mondo a lei con­tem­po­ra­neo. Era, in realtà, una donna di una forza straor­di­na­ria, quanto di più vicino posso imma­gi­nare all’aggettivo vivace. Ho avuto la for­tuna di cono­scerla e di poterla coin­vol­gere nel mio impe­gno di ammi­ni­stra­trice locale a Roma. Era una gior­na­li­sta amica, non per­ché facesse sconti o omet­tesse le cri­ti­che, ma per­ché era real­mente curiosa di quello che stavi facendo e di ciò che si muo­veva attorno al tuo lavoro. E aveva il senso delle gene­ra­zioni e della rela­zione tra donne. Era soprat­tutto una per­sona libera, e que­sto ti contagiava.

In nome della libertà e della verità era capace di inve­sti­gare la realtà e rom­pere il muro dell’omertà e del con­for­mi­smo. Come quando «scese» nella sua Reg­gio: era il 1970, la rivolta ormai pla­cata, ma lei voleva capire dav­vero come erano andate le cose, non accon­ten­tan­dosi della let­tura pre­va­lente. La sua inter­vi­sta a Sofri, mai pub­bli­cata dall’Europeo, fu la causa delle sue quinte dimis­sioni da un gior­nale, e quella rivolta, così rac­con­tava, fu insieme al fem­mi­ni­smo, uno spar­tiac­que nella sua vita. Per lei era stata una moder­nis­sima rivolta popo­lare che la sini­stra non aveva capito. Diven­terà diret­trice respon­sa­bile di Lotta con­ti­nua, da cui ancora una volta si dimet­terà (le seste dimis­sioni) dopo essersi ritro­vata in guai giu­di­ziari ai tempi dell’assassinio del com­mis­sa­rio Calabresi.

Adele Cam­bria è stata un’intellettuale, una scrit­trice di romanzi e di opere di tea­tro. Arri­vata a Roma negli anni 50 aveva cono­sciuto Pier Paolo Paso­lini, di cui era diven­tata amica. Aveva inter­pre­tato il ruolo di «Nan­nina la napo­le­tana» in Accat­tone (1961), e poi in seguito anche par­te­ci­pato a Comizi d’amore (1965) e Teo­rema (1968). È stata tra le fon­da­trici del tea­tro La Mad­da­lena, a Roma. Ha scritto su Isa­bella Morra, sulle donne di casa Gram­sci. Una dei suoi ultimi libri è dedi­cato a Istan­bul, città dove era tor­nata dopo un viag­gio fatto molti anni prima (Istan­bul. Il dop­pio viag­gio, Don­zelli Edi­tore, 2012).

Nel 2008 aveva anche aperto un blog, accanto alla sua foto, solo una frase, quasi un ritratto: «a me non piace pia­cere a molti, ma solo ai pochi a cui piac­cio». Pia­ceva in effetti a molti, sicu­ra­mente a molte, per quel suo sor­riso e quel suo modo irri­ve­rente di dire la verità e mostrare il re nudo. Ciao Adele. Ci mancherai.


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