Tobruk contro l’Italia “Via le vostre navi” Attaccato il cimitero

Tobruk contro l’Italia “Via le vostre navi” Attaccato il cimitero

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I generali di Tobruk contro la Marina militare italiana. La confusa guerra civile in Libia ancora una volta straripa verso l’Italia, e ad alzare la tensione contribuisce la devastazione al cimitero italiano a Tripoli. Ieri mattina i siti di notizie libici hanno rilanciato un comunicato del capo dell’aviazione di Tobruk, il generale Saqr al Geroushi. Il generale denuncia il fatto che «tre navi da guerra italiane sono arrivate nei pressi delle coste di Bengasi, a Daryaba» circa 55 chilometri a est della città, e poi si sono spostate verso Derna. Il governo libico avverte che «non esiterà a ricorrere a tutti i mezzi che gli consentano di proteggere le sue frontiere e la sua sovranità territoriale». Passano pochissimi minuti, e il capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi conferma alla ministro Pinotti quello che tutti ritenevano sicuro: in una fase così delicata non c’è nessuna nave nelle acque territoriali libiche e non c’è mai stata. La notizia «è una bufala, è falsa», fa sapere il ministero, «tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati».
Tobruk insiste, offre dettagli: «La violazione è stata tracciata, e verificata anche dai nostri caccia », levatisi in volo sabato sera per «monitorare i movimenti delle tre navi fino a quando, dopo aver ricevuto un avvertimento, non sono tornate nelle acque internazionali ». Ovvero: i caccia libici avrebbero messo in fuga le navi italiane.
Smentita al massimo livello, la bufala libica viene però analizzata al ministero della Difesa, alla Farnesina e anche alla Presidenza del Consiglio, tra i responsabili dell’intelligence. Perché questa “sparata”? «Innanzitutto la firma di quel comunicato: non è il primo ministro, o l’ufficio del primo ministro Al Thinni; è un ufficiale dello staff del generale Haftar ad accusare l’Italia di una violazione delle leggi internazionali », dicono alla Difesa. È poco più che uno dei capi di una milizia, quella di Haftar, che si è ribattezzata “Libyan National Army” e che con l’aiuto degli egiziani ha provato senza successo a fare la guerra agli integralisti islamici a Derna e Bengasi.
Una milizia che oggi tiene di fatto in ostaggio i ministri e i parlamentari di Tobruk. E guarda caso, proprio oggi i parlamentari di Tobruk dovrebbero votare sull’accordo Onu che crea un Governo di unità nazionale con Tripoli. Un accordo che di fatto farà fuori l’ex gheddafiano Haftar che da Al Thinni (sottoposto a pressioni e vessazioni anche fisiche) si era fatto nominare capo di stato maggiore e addirittura “comandante supremo”.
Haftar quindi alza il livello dello scontro, e minaccia le “potenze straniere” come l’Italia che sarebbero pronte ad interferire negli affari interni libici, perché vuole mantenere il posto e il potere. In Libia sia a Tobruk che a Tripoli le parti che non vogliono l’accordo (perché il loro potere verrebbe limitato) denunciano le «interferenze straniere». Criticano la posizione di paesi come l’Italia che premono per un accordo di unità nazionale perché farebbe loro perdere posti, ruolo e influenza nella nuova Libia.
In questo contesto in cui l’Italia rischia di diventare il simbolo dell’Occidente che vuole provare a metter pace, ieri l’Associazione dei rifugiati italiani (Airl) dalla Libia ha diffuso alcune fotografie che testimoniano lo stato di devastazione del cimitero italiano di Hammangi, a Tripoli. La presidentessa dell’Airl Giovanna Ortu e l’ingegner Giancarlo Consolandi che ha ricevuto le foto non sono in grado di dire se la devastazione è avvenuta nelle ultime ore o negli ultimi giorni. Ormai da mesi il cimitero è abbandonato a se stesso, anche l’ultimo italiano di Tripoli, il custode Bruno Dalmasso, ha lasciato la Libia. Il cancello principale è sprangato, ma da un ingresso laterale entrano bande di vandali e tossicodipendenti. E ogni tanto, quando qualcuno vuole lanciare un segnale all’Italia, intervengono anche miliziani in cerca di notorietà. «Un gesto vile di inciviltà e intolleranza», dice la Farnesina.


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