PARIGI. François Hollande ha chiesto ieri la solidarietà a un’Europa fredda, incupita, che non è più quella generosa, aperta di gennaio. Federica Mogherini, l’Alta rappresentante per la politica estera, ha annunciato che la richiesta francese è stata accolta all’unanimità. Ma la generosa dichiarazione assomiglia, almeno per ora, a un’auspicio, a un gesto politico, più che a una decisione concreta riguardante un aiuto militare. Tutto questo corrisponde agli umori. Allora, dieci mesi fa, le piazze si riempirono spontaneamente in grandi e piccole città del continente. E lo slogan dominante era “Je suis Charlie”. L’assassinio dei redattori del giornale satirico, colpevole di avere pubblicato caricature di Maometto, e dei clienti di un negozio kosher alla Porte de Vincennes, non aveva acceso o accresciuto l’ostilità all’immigrazione e in particolare a quella araba che ne è la principale componente. Va ricordato che nella Baviera conservatrice, Horst Seehofer, presidente della Csu, invitava il movimento islamofobo Pegida a rinunciare a una dimostrazione che sarebbe stata, a suo avviso, inopportuna. Dopo il massacro di venerdì 13 novembre lo stesso Seehofer ha assunto un altro atteggiamento. Ha dichiarato che bisogna intensificare il controlo delle frontiere europee per ristabilire la legge e l’ordine. E un’altra autorità bavarese, il ministro delle finanze, Markus Soeder, pure lui del partito cristiano sociale, ha insistito affermando che la strage di Parigi «cambiava tutto» ed era il momento di porre fine a un’immigrazione incontrollata.
Tra la strage di gennaio e quella più grave di novembre l’Europa ha conosciuto l’ondata di profughi proveniente in larga parte dalla Siria. Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati 820.318 migranti hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015. Se si addizionano i profughi degli anni precedenti, il loro arrivo è uno degli avvenimenti più importanti e traumatizzanti del secolo. Ha suscitato solidarietà e avversione, dividendo in generale il continente tra il Sud-Ovest non del tutto restio all’accoglienza e il Centro-Nord invece apertamente ostile, in difesa dell’identità nazionale restaurata dalle rovine della guerra e del comunismo.
La strage parigina ha suscitato emozione, espressioni di sincero cordoglio, messaggi di sostegno, telegrammi, preghiere e fiori, e c’è stata la generosa dichiarazione di Federica Mogherini. Ma quella tragedia ha soprattutto accresciuto, ingigantito l’inquietudine per quell’ondata di migranti arabi che ancora si sta riversando in Europa. L’appello di François Hollande alla solidarietà per la Francia ferita e impegnata in una guerra ha ricevuto risposte amichevoli, annunci di disponibilità formale, messaggi di sincero dolore per le vittime. Ma la parola “guerra” , evocata da decenni nell’ Europa pacifica soltanto per ricordare tenzoni armate in corso alle porte, o lontane, o remote, non ha avuto un’accoglienza adeguata al suo significato. Guerra è sacrificio, strazio, morte, rinuncia, devastazione, irrazionalità, sciupio, odio…. Tutti aspetti deplorevoli, sciagurati della vita civile di cui il Vecchio continente ha avuto una esperienza millenaria. Pensava di averla esorcizzata almeno nel cuore del suo territorio. Ed ora uno spezzone di quella eterna sciagura si è abbattuto proprio nel centro dell’Europa.
È uno scandalo insanguinato. Angela Merkel non vuole essere, scrive Spiegel, una cancelliera di guerra, anche se la sua Germania fornisce mezzi logistici e addestratori alle forze armate francesi impegnate nell’Africa occidentale, e arma i combattenti curdi in Iraq. E compie ormai da tempo missioni militari in varie parti del mondo. Neppure Cameron, il primo ministro britannico, pur disponendo il suo paese del più attrezzato esercito occidentale, dopo quello degli Stati Uniti, è ansioso di partecipare alla guerra che non è soltanto francese. Senza contare Matteo Renzi che «non vuole spaventare gli italiani». La guerra giusta, quella in difesa di valori, sembra non avere più alcun valore.
Invece di esprimere il desiderio di schierarsi a fianco di un alleato ferito, i governi europei hanno visto nella tragedia francese un ulteriore motivo per frenare l’arrivo dei migranti, ritenendo che tra di loro sia annidato il terrorismo, anche se per ora non c’è nulla che lo provi. Il più esplicito nesso tra il venerdì di sangue parigino e l’ immigrazione araba è stato sottolineato in Polonia dove il partito di destra, Legge e Giustizia (PiS), ha vinto, anzi trionfato, in ottobre. Sabato, 14 novembre, poche ore dopo i più di ottanta morti del Bataclan parigino, il ministro polacco degli affari europei, Konrad Szymanski, ha detto che dopo gli attacchi in Francia era escluso di poter distribuire i migranti secondo le quote stabilite. La Polonia avrebbe mantenuto l’assoluto controllo delle sue frontiere. Nella Repubblica ceca il passaporto siriano trovato a Parigi sul cadavere di un terrorista, che si suppone fosse entrato in Europa come profugo, è servito al presidente Milos Zeman per esternare la sua profonda preoccupazione. A suo avviso gli arabi in arrivo potrebbero applicare la Sharia e lapidare le donne infedeli. Sempre dopo quel era accaduto sulla rive della Senna, il presidente slovacco, Robert Fico, ha sottolineato trionfante che lui aveva avvertito gli altri europei sui rischi di aprire le porte agli immigrati arabi. Dall’Europa del Centro-Nord sono partite pesanti accuse alla Cancelliera tedesca che in settembre aveva aperto le braccia ai profughi. Il suo governo è stato accusato di nazismo perché rovesciava nei paesi vicini ondate di arabi, come i suoi predecessori mandavano le SS. Nella stessa Germania Angela Merkel è contestata dai compagni di partito e di governo per la sua disponibilità ad accogliere ottocentomila profughi. E la sua posizione alla testa della cancelleria federale non è più tanto sicura per la donna che fino a qualche mese fa era “la più potente del mondo”.Il massacro a Parigi ha aumentato anche nel suo paese l’avversione per gli immigrati.
La solidarietà per la Francia ferita è senz’altro sentita; la solidarietà per la Francia in guerra resta vaga, malgrado le dichiarazioni. Hollande l’ha forse chiesta sul piano simbolico.Ha sollecitato un’assistenza non un’alleanza impegnativa. Ha formulato l’appello, lunedì al Congresso di Versailles, riferendosi al Trattato di Lisbona, il quale prevede la solidarietà europea in caso di aggressione di uno dei paesi membri dell’Unione. E Federica Mogherini ha detto che gli è stata accordata. La clausola era stata dimenticata a Bruxelles, anche se Parigi assicura di avere informato in anticipo che il presidente francese l’avrebbe evocata. L’Europa non è del tutto sprovveduta sul piano militare, l’Eurocorpo, cui partecipano cinque membri permanenti e quattro associati (tra i quali l’Italia), può teoricamente mobilitare sessantamila umini, e ha già partecipato a varie missioni. La Francia concorderà comunque con i singoli paesi il sostegno che gli sembrerà utile. Hollande avrebbe potuto rivolgersi per un aiuto più concreto alla Nato (della quale sono membri ventidue paesi dell’ Unione europea) e che ha l’obbligo (articolo 5) di fornire un aiuto armato a un paese membro aggredito. Ma l’intervento Nato, già rodato in Afghanistan, rischierebbe di urtare Vladimir Putin sul quale si punta come alleato nella guerra al Califfato (o Daesh). L’appello del presidente francese ha messo in evidenza quanto sia burocratica e disarticolata l’unità europea.cvb