Quegli assassini della “Scheda S” che crescono nelle banlieue

Quegli assassini della “Scheda S” che crescono nelle banlieue

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LA FRANCIA ancora sotto tiro del jihad. Questa volta non più la redazione di un giornale o un ristorante ebraico, comunque simboli direttamente collegabili all’ostilità palese degli islamisti radicali ma bar e locali notturni, considerati dai fanatici luoghi di perdizione e del vizio occidentali. È quella che, dopo l’attacco a un deposito di gas di un “lupo solitario”, avevamo chiamato la jihad della vita quotidiana. La più subdola e pericolosa, perché, nell’intento di generare terrore, colpisce luoghi nei quali non ci si aspetta di essere colpiti dal furore ideologico e la sorveglianza è difficile.
Accade non casualmente, nel giorno in cui in Siria viene colpito Jihadi John, nell’Esagono ormai terra della jihad. Lo dicono i numeri dei foreign fighters transalpini e dei simpatizzanti radicali che non hanno voluto o potuto espatriare. Sono circa millecinquecento i giovani francesi riconducibili alla filiera islamista radicale coinvolti nel conflitto siro- iracheno. L’età media è tra i 15 e i 30 anni. Nel totale sono aumentati, nel 2015, dell’84% rispetto all’anno precedente. I convertiti autoctoni sono circa un quarto del totale: il 22% degli uomini, il 27% delle donne. I francesi che si trovavano nelle zone di combattimento all’inizio del 2015 erano 413 fra cui 119 donne. In 261 hanno lasciato la regione: 200 dei quali per tornare in Francia. Alla metà del 2015 erano 126 i caduti in combattimento. Cifre che facevano presupporre quello che è accaduto Le partenze sarebbero verso Siria e Iraq state molte di più se senza l’azione di prevenzione delle forze di sicurezza, che hanno fermato centinaia di persone prima che partissero, e i colloqui “dissuasivi” avviati dalla Dcri, i servizi d’informazione interni, mirati a fare sentire al potenziali jihadisti il fiato sul collo dello Stato. Un panorama ancora più problematico, se lo sguardo si allarga ai titolari di una scheda “S”, sigla che indica quanti sono ritenuti potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato: sono oltre cinquemila gli islamisti radicali che ricadono in questa classificazione. Cifra che impedisce una sorveglianza necessariamente indirizzata verso individui il cui grado di pericolosità viene ritenuto elevato. Non è casuale che alcuni degli autori degli attentati che, a partire dal 2012, hanno periodicamente colpito il paese, fossero titolari di una fiche “S”.
Questa terribile istantanea, che fissa numeri da brivido, fa comprendere come il livello di rischio sia enorme in Francia. Da tempo l’Is rivolge particolare attenzione all’Esagono, come ricorda la rivista Dar Al Islam, edita da Al Hayat e specificamente rivolta al mondo francofono. Il fatto che l’Isis pubblichi una rivista in francese, testimonia l’importanza assegnata nella sua strategia alla penetrazione tra i musulmani francesi e francofoni. Dopo gli attentati a Charlie Hebdo la copertina di un numero della rivista, che ritraeva la Torre Eiffel, era titolata Allah maledica la Francia”. All’interno, oltre un articolo sul dovere di attaccare chi insulta il Profeta, un omaggio al “Soldato del califfato” Koulibaly, con la giustificazione religiosa del suo operato e un pezzo sull’inimicizia storica tra la Francia e l’islam. Alla Francia “crociata” gli jihadisti imputano il ruolo avuto nei conflitti in Afghanistan, Iraq, Siria e Mali. Ma la colpa si estende anche al passato, dal momento che, per gli islamisti radicali, la pesante eredità coloniale di Parigi ha prodotto deculturazione e secolarizzazione, anche nei paesi della Mezzaluna decolonizzati.
Odio e reclutamento prosperano per il diffondersi a livello globale dell’ideologia radicale. Ma nel caso francese si nutre anche di un malessere tutto transalpino. La situazione esplosiva nelle banlieue; la mancata integrazione, in assenza di politiche pubbliche falcidiate dalla crisi del welfare, dei giovani che le popolano. Il difficile rapporto tra i
banlieusardes e le forze di polizia nei quartieri difficili, in un contesto nel quale la vita di strada ne fa presto clienti fissi di commissariati e tribunali. Naturalmente, tutto ciò non giustifica in alcun modo lo stragismo sanguinario che colpisce un paese che si vuole brutalmente terrorizzare con la violenza. Con le conseguenze sul piano della deriva xenofoba e delle torsioni della democrazia che si possono immaginare. Sparando sulla folla, gli jihadisti cercano una drammatica semplificazione del campo secondo la logica amico/nemico. Nell’intento di chiamare alle armi sempre più sostenitori in uno scontro che, nonostante reazione che si profila all’orizzonte, non pare volgere al termine in tempi brevi.


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