«Preferivo finire sul giornale per una storia migliore eh», scherza Mario B., operaio trentunenne, due figli di 12 e 3 anni. È il primo licenziato con il contratto a tempo indeterminato versione “Jobs Act” — questa la denuncia dal sindacalista della Cisl Massimo Albanesi raccolta dal Messaggero Veneto.
Dopo soli otto mesi dalla firma della lettera di assunzione. Per paura di ritorsioni («non è che poi non mi assume più nessuno?») aveva preferito non esporsi. Ma alla fine questo lavoratore della Pigna Envelopes (quella dei bloc-notes) di Tolmezzo, in provincia di Udine, decide di raccontarsi, «dopotutto di cosa dovrei vergognarmi?».
Partiamo dall’inizio: quando e come viene assunto?
«Allora, io facevo il camionista e stavo molto tempo all’estero. Vedevo poco la mia famiglia. Dopo quattro anni di questa vita, decido di provare ad avvicinarmi a casa».
E com’è entrato in contatto con l’azienda?
«Sapevo che cercavano operai e io avevo già fatto esperienza anni fa in una cartiera. Presentai domanda nell’estate del 2014. A inizio 2015 mi chiamano per dirmi “ci siamo, venga lunedì”. Ma poi rimandano di qualche settimana, perché aspettavano il varo della nuova riforma del lavoro. Così il 16 marzo ho firmato il contratto».
Era felice?
«Di più, felicissimo. Fabbrica a 200 metri da casa, ci andavo a piedi. Due mesi di prova e poi l’indeterminato. Lo stipendio, facendo anche i turni di notte e con gli assegni familiari, era di 1.400 euro».
Ma non sapeva che il contratto a tutele crescenti prevede la possibilità di un più facile licenziamento?
«No, l’azienda ci aveva sempre detto di stare tranquilli, e che per tre anni stavamo sicuri. Poi non sono un tipo politicizzato, mai fatto uno sciopero in vita mia, non sono di sinistra. Vedevo Renzi in tv, parlavano tutti di “tutele crescenti”… Ecco sulla mie pelle ho visto che quella dizione è una barzelletta».
Come le hanno detto che restava a casa?
«Mercoledì, erano le 17,30. Stavo facendo il turno pomeridiano, dalle 14 alle 22. Mi hanno chiamato i superiori: “Mario, c’è un calo di lavoro, non possiamo più tenerti, quindi da venerdì il contratto è risolto”».
E lei?
«Non ci credevo. Se sei precario, te lo puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho ripensato all’articolo 18…».
Cioè?
«Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è finito tutto, la riforma è una falsa promessa di miglioramento ».
Non aveva avuto neanche delle avvisaglie che qualcosa non stesse andando bene? «Sapevamo che c’erano difficoltà, sì, ci eravamo consumati le ferie apposta. Ma da qui a vederti lasciato così…».
Non è che per caso l’hanno licenziata per altre ragioni legate al suo operato?
«No, oggi (ieri, ndr) hanno fatto lo stesso con altri due tempi indeterminati a tutele crescenti, forse non è finita qui».
Senta, quando è tornato a casa con la lettera di licenziamento cosa le ha detto la sua compagna?
«È rimasta senza parole anche lei. Un fulmine a ciel sereno. Se ti parlano di “tutele crescenti” e firmi un indeterminato, vivi con una certa tranquillità. Ti fidi no? Invece scopri che era tutto frutto della tua immaginazione, o della propaganda».
E adesso?
«Avrò la disoccupazione per qualche mese e intanto cerco un nuovo impiego; ma se lo avessi saputo prima che andava a finire così non avrei mai lasciato il lavoro di camionista. Mi ero anche fatto licenziare dal vecchio datore di lavoro, così risultando disoccupato l’azienda ha potuto usufruire degli sgravi fiscali assumendomi…».