Così mentre Obama sdrammatizza («non c’è un leader straniero con cui mi sono incontrato più spesso del premier israeliano») Netanyahu lo rassicura sui rapporti con i palestinesi («nonostante le aumentate violenze delle ultime settimane non abbiamo perso la nostra speranza di pace, e rimaniamo convinti della necassità di due Stati per due popoli») in un gioco delle parti che sulle questioni fondamentali come il nucleare dell’Iran («il nostro disaccordo non è un segreto», ricorda Obama), il ruolo di Assad in Siria e lo stesso processo di pace tra Israele e Palestina lascia più o meno tutto immutato.
A più di un anno dalla sua ultima visita il fatto che Netanyahu sia di nuovo alla Casa Bianca è comunque un fatto positivo, visto che meno di un mese fa il premier israeliano era volato a Mosca dal “nemico” Putin, oggi “stratega” del futuro del Medio Oriente. Se su pace e soluzione “due Stati” il presidente Usa ha fatto chiaramente capire che se ne dovrà occupare il suo successore, quanto avviene tra Damasco e Bagdad o tra Raqqa e il Sinai non può essere invece lasciato in regalo a chi nel gennaio 2017 entrerà alla Casa Bianca.
A porte chiuse i due leader hanno parlato anche di questo, probabilmente anche delle cose che più li dividono. Sul tavolo c’erano del resto due cose molto concrete. La volontà di Obama di non passare alla storia come il presidente Usa che ha rotto con Israele e quella di Netanyahu di non compromettere una trattativa di aiuti militari che (stando a quanto viene fatto filtrare dal Congresso) è pari a una cifra di 5 miliardi di dollari (da 3,1) all’anno per dieci anni.