Manifestazione annullata per terrore?
«Dopo Charlie il governo gestì Place de la République, ora consente alcune iniziative ma non la marcia dei cittadini sul clima. Così colpisce il dissenso sulle politiche climatiche. Il 13 novembre è una ferita collettiva che possiamo risanare solo insieme, la paura non deve paralizzarci. Hollande dice che è stata attaccata la libertà, la risposta è limitarla? Andiamo avanti con dibattiti, catene umane, installazioni artistiche in città, azioni web e un numero mai visto di iniziative in tutto il mondo ».
Che effetti sta avendo lo stato d’emergenza sui movimenti per la giustizia climatica?
«Basta un sospetto e la polizia può perquisirti o mandarti ai domiciliari. Misure contro il terrorismo che stanno colpendo anche voci critiche verso COP21. Artisti e militanti che preparavano installazioni per il clima sono stati perquisiti, materiale e pc portati via. Ad altri è stato vietato l’ingresso all’Île-de-France. Unire terroristi e attivisti sulla base di un sospetto diventa abuso di potere. Se colpisci il dissenso, ci rimette la democrazia».
Perché mobilitarsi per il clima fa bene alla pace?
«C’è un rapporto stretto tra clima e pace. Molti conflitti si giocano sulla contesa di materie prime e su questioni energetiche. A Parigi sfilano anche Paesi che non hanno interesse ad arrivare a un buon accordo perché basano le proprie economie sulle energie fossili. La pressione della società civile è cruciale per evitare un accordo al ribasso».
L’Is ha fatto fortuna con il petrolio. Vede un nesso tra scelte climatiche e guerra al terrore?
«Sì. Il Daesh si è organizzato a seguito di un conflitto che aveva a che fare con le energie fossili, poi con il petrolio ha fatto il suo business. Limitare la nostra dipendenza da questo tipo di combustibili è anche un passo per la pace».