L’ombra di una nuova Vatileaks
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Il caso della festa «esclusiva» sulla terrazza per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Non ci sarebbe da meravigliarsi se alla fine l’arresto del monsignore avesse riflessi sulla gestione economica della Santa Sede
Sono due persone che aveva scelto papa Francesco. E dunque venivano ascritte quasi d’ufficio al nuovo corso di Jorge Mario Bergoglio. Per questo l’arresto di Lucio Angel Vallejo Balda, esponente di peso dell’Opus Dei, e di Francesca Immacolata Chaouqui, giovane donna di pubbliche relazioni per Ernst &Young, ha sorpreso quasi tutti. Dall’esterno è apparso un colpo all’immagine dello stesso Pontefice. Entrambi, infatti, il monsignore e la sua protetta, erano stati membri della Commissione d’inchiesta sulle finanze vaticane, istituita nel luglio del 2013. La presiedeva il maltese Joseph Zara, amministratore delegato del Market Intelligence Services Co Ltd. Ma dentro le Sacre Mura si sapeva da almeno un anno che il loro sodalizio e la loro rete di contatti erano screditati anche agli occhi di Francesco.
Già nel novembre del 2014, un esponente vaticano a conoscenza di molti segreti confidava le perplessità diffuse sul comportamento di monsignor Vallejo Balda e della giovane lobbista. «Hanno avuto accesso a documenti riservati, e c’è il rischio di una Vatileaks economica», si diceva già allora. D’altronde, per mesi avevano avuto pieno accesso a Casa Santa Marta, l’albergo dove il Papa ha scelto di risiedere. Garantivano contatti e informazioni riservate, servendosi di siti e giornali compiacenti. E cercavano di accattivarsene altri offrendosi come mediatori. Sostenevano di potere avere contatti diretti col Papa. E probabilmente, all’inizio qualcosa di vero ci doveva essere: esibivano una sicumera tipica di chi si sente introdotto nel «posto giusto».
Nell’euforia seguita alle dimissioni di Benedetto XVI e all’arrivo del primo latino-americano sul Soglio di Pietro, tutto appariva possibile. Il vento di novità velava le zone grigie, i rapporti tra vecchio e nuovo potere, il trasformismo, e la determinazione delle lobby finanziarie più influenti e segrete a concedere il minimo all’imperativo della trasparenza. Sotto questo aspetto, il duo Vallejo-Chaouqui è la metafora di un cambiamento dai contorni a tratti ambigui; e di una certa difficoltà di Francesco a conoscere esattamente gli intrecci del sottobosco vaticano e riconoscere le persone più affidabili. È una zona grigia estesa e infida, dalla quale il monsignore dell’Opus Dei, che si è affrettata a separare le proprie responsabilità da quelle di Vallejo Balda ora che si trova in una cella della Gendarmeria vaticana, è emerso solo per eccesso di protagonismo o di furbizia.
Evidentemente il modo di fare suo e della sua sodale è stato così irrituale da apparire più che una cifra del nuovo pontificato, un’ostentazione maldestra e forse anche millantata del potere. Colpì molto, sotto questo aspetto, la «festa» data dal duo sulla terrazza della Prefettura degli Affari economici, affacciata su piazza San Pietro, a fine febbraio del 2014. Si canonizzavano Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E, mentre la folla della gente comune si accalcava all’interno del colonnato del Bernini, uno spicchio del cosiddetto «mondo Vip» sorseggiava vino pregiato e mangiava, guardando quell’umanità dall’alto. Un raduno sponsorizzato, all’insaputa dell’allora «ministro dell’Economia», il cardinale Giuseppe Versaldi. Monsignor Balda distribuiva la Comunione agli ospiti tirando fuori le ostie da bicchierini di carta; unendo sacro e profano senza essere attraversato da un solo dubbio.
E la Chaouqui accoglieva gli invitati come una specie di padrona di casa. Su quel balcone c’era la marmellata politico-religiosa della Roma vecchia e nuova, del potere economico del passato e del presente: di nuovo, la metafora involontaria di una rivoluzione inevitabilmente contraddittoria. «È uno schiaffo, uno schiaffo», sembra avesse commentato Francesco quando gli diedero la notizia di quel rito mondanissimo, camuffato da occasione religiosa: rappresentava tutto ciò che aveva cercato di combattere fin dal primo giorno. Il pontefice fece convocare Vallejo Balda, e gli chiese conto di quanto era accaduto. Il seguito è arrivato a cascata. Si parla di ingresso in Vaticano interdetto alla Chaouqui da mesi, ormai. Di un Francesco addolorato ma costretto a prendere tempo, perché gli si faceva presente che i sospettati potevano far filtrare i documenti della commissione della quale erano membri.
Sullo sfondo stagnava il timore che l’eventuale espulsione della Chaouqui dalla cerchia papale potesse essere considerata solo come la vendetta di un ambiente misogino; e la convinzione che Vallejo Balda dovesse essere smascherato con prove inoppugnabili. Ma il dubbio è che la svolta sia arrivata troppo tardi. Il tentativo di fermare altre «rivelazioni» che promettono di deturpare non solo l’immagine ma l’identità della «nuova Chiesa» di Bergoglio, semina perplessità. E alla fine si torna al punto di partenza: la selezione del gruppo dirigente in Vaticano, l’opacità delle questioni economiche, e la guerra mai finita per assumerne il controllo. Per questo non ci sarebbe da meravigliarsi se alla fine l’arresto di Vallejo Balda avesse riflessi anche sulla gestione delle finanze della Santa Sede; e acuisse le ostilità tra il «ministro dell’Economia» George Pell.
All’inizio, sembra che lui e Vallejo Balda fossero tacciati di avere la «sindrome del giustiziere»: agivano in accordo per spazzare via tutto ciò che non rientrava nelle loro logiche. Poi la loro alleanza si è spezzata, probabilmente per ambizioni divergenti e, nel caso del prelato dell’Opus Dei, frustrate. Così, Vallejo Balda avrebbe cominciato a consumare le sue vendette, facendo trapelare notizie contro Pell, inviso a quasi tutto il Vaticano per i metodi sbrigativi. Le indicazioni inviate qualche giorno fa dal Papa per ricordare che in attesa della riforma della Curia valgono ancora le regole di prima, e che ad amministrarle è il segretario di Stato, cardinale Piero Parolin, suona come la conferma del ridimensionamento di Pell: tra l’altro, uno degli ispiratori della lettera con la quale i conservatori hanno accreditato un esito del Sinodo precostituito da Bergoglio: un’accusa intollerabile.
Ma i due accusati sono pedine di un gioco più grande e più sporco: un altro tentativo spettacolare di destabilizzare un papato, sfruttando gli errori commessi in nome del rinnovamento, per disdirlo completamente. Una manovra torbida .
Già nel novembre del 2014, un esponente vaticano a conoscenza di molti segreti confidava le perplessità diffuse sul comportamento di monsignor Vallejo Balda e della giovane lobbista. «Hanno avuto accesso a documenti riservati, e c’è il rischio di una Vatileaks economica», si diceva già allora. D’altronde, per mesi avevano avuto pieno accesso a Casa Santa Marta, l’albergo dove il Papa ha scelto di risiedere. Garantivano contatti e informazioni riservate, servendosi di siti e giornali compiacenti. E cercavano di accattivarsene altri offrendosi come mediatori. Sostenevano di potere avere contatti diretti col Papa. E probabilmente, all’inizio qualcosa di vero ci doveva essere: esibivano una sicumera tipica di chi si sente introdotto nel «posto giusto».
Nell’euforia seguita alle dimissioni di Benedetto XVI e all’arrivo del primo latino-americano sul Soglio di Pietro, tutto appariva possibile. Il vento di novità velava le zone grigie, i rapporti tra vecchio e nuovo potere, il trasformismo, e la determinazione delle lobby finanziarie più influenti e segrete a concedere il minimo all’imperativo della trasparenza. Sotto questo aspetto, il duo Vallejo-Chaouqui è la metafora di un cambiamento dai contorni a tratti ambigui; e di una certa difficoltà di Francesco a conoscere esattamente gli intrecci del sottobosco vaticano e riconoscere le persone più affidabili. È una zona grigia estesa e infida, dalla quale il monsignore dell’Opus Dei, che si è affrettata a separare le proprie responsabilità da quelle di Vallejo Balda ora che si trova in una cella della Gendarmeria vaticana, è emerso solo per eccesso di protagonismo o di furbizia.
Evidentemente il modo di fare suo e della sua sodale è stato così irrituale da apparire più che una cifra del nuovo pontificato, un’ostentazione maldestra e forse anche millantata del potere. Colpì molto, sotto questo aspetto, la «festa» data dal duo sulla terrazza della Prefettura degli Affari economici, affacciata su piazza San Pietro, a fine febbraio del 2014. Si canonizzavano Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E, mentre la folla della gente comune si accalcava all’interno del colonnato del Bernini, uno spicchio del cosiddetto «mondo Vip» sorseggiava vino pregiato e mangiava, guardando quell’umanità dall’alto. Un raduno sponsorizzato, all’insaputa dell’allora «ministro dell’Economia», il cardinale Giuseppe Versaldi. Monsignor Balda distribuiva la Comunione agli ospiti tirando fuori le ostie da bicchierini di carta; unendo sacro e profano senza essere attraversato da un solo dubbio.
E la Chaouqui accoglieva gli invitati come una specie di padrona di casa. Su quel balcone c’era la marmellata politico-religiosa della Roma vecchia e nuova, del potere economico del passato e del presente: di nuovo, la metafora involontaria di una rivoluzione inevitabilmente contraddittoria. «È uno schiaffo, uno schiaffo», sembra avesse commentato Francesco quando gli diedero la notizia di quel rito mondanissimo, camuffato da occasione religiosa: rappresentava tutto ciò che aveva cercato di combattere fin dal primo giorno. Il pontefice fece convocare Vallejo Balda, e gli chiese conto di quanto era accaduto. Il seguito è arrivato a cascata. Si parla di ingresso in Vaticano interdetto alla Chaouqui da mesi, ormai. Di un Francesco addolorato ma costretto a prendere tempo, perché gli si faceva presente che i sospettati potevano far filtrare i documenti della commissione della quale erano membri.
Sullo sfondo stagnava il timore che l’eventuale espulsione della Chaouqui dalla cerchia papale potesse essere considerata solo come la vendetta di un ambiente misogino; e la convinzione che Vallejo Balda dovesse essere smascherato con prove inoppugnabili. Ma il dubbio è che la svolta sia arrivata troppo tardi. Il tentativo di fermare altre «rivelazioni» che promettono di deturpare non solo l’immagine ma l’identità della «nuova Chiesa» di Bergoglio, semina perplessità. E alla fine si torna al punto di partenza: la selezione del gruppo dirigente in Vaticano, l’opacità delle questioni economiche, e la guerra mai finita per assumerne il controllo. Per questo non ci sarebbe da meravigliarsi se alla fine l’arresto di Vallejo Balda avesse riflessi anche sulla gestione delle finanze della Santa Sede; e acuisse le ostilità tra il «ministro dell’Economia» George Pell.
All’inizio, sembra che lui e Vallejo Balda fossero tacciati di avere la «sindrome del giustiziere»: agivano in accordo per spazzare via tutto ciò che non rientrava nelle loro logiche. Poi la loro alleanza si è spezzata, probabilmente per ambizioni divergenti e, nel caso del prelato dell’Opus Dei, frustrate. Così, Vallejo Balda avrebbe cominciato a consumare le sue vendette, facendo trapelare notizie contro Pell, inviso a quasi tutto il Vaticano per i metodi sbrigativi. Le indicazioni inviate qualche giorno fa dal Papa per ricordare che in attesa della riforma della Curia valgono ancora le regole di prima, e che ad amministrarle è il segretario di Stato, cardinale Piero Parolin, suona come la conferma del ridimensionamento di Pell: tra l’altro, uno degli ispiratori della lettera con la quale i conservatori hanno accreditato un esito del Sinodo precostituito da Bergoglio: un’accusa intollerabile.
Ma i due accusati sono pedine di un gioco più grande e più sporco: un altro tentativo spettacolare di destabilizzare un papato, sfruttando gli errori commessi in nome del rinnovamento, per disdirlo completamente. Una manovra torbida .
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