ROMA. Nella notte in cui la peggiore delle profezie si autoavvera, gli apparati antiterrorismo, il Viminale, Palazzo Chigi, osservano attoniti l’orrore appesi a uno stillicidio di notizie che rende improvvisamente tutti uguali.
Su Twitter rimbalza la minaccia dell’Is: «Il prossimo attacco sarà a Londra, Washington e Roma». Proviene da un hashtag arabo che suona come “Parigi brucia”. Si aggiunge a quella che sembra la più attendibile delle rivendicazioni: «Questo è l’11 settembre di Parigi », mentre Dabiq France, l’organo ufficiale dello Stato Islamico recita: «La Francia manda i suoi aerei in Siria, bombarda uccidendo i bambini, oggi beve dalla stessa coppa».
Una qualificata fonte della nostra Intelligence spiega nella notte: «Parigi non è in grado di comunicare o condividere alcuna notizia. Almeno in questo momento». «Perché gli attacchi sono in corso» e il numero dei morti una variabile.
Il direttore del Dipartimento per le Informazioni e la sicurezza, Giampiero Massolo, riunisce la sua unità di crisi. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, consultato il capo della Polizia Alessandro Pansa, attiva il protocollo che alza al massimo livello l’allerta antiterrorismo sull’intero territorio nazionale, con immediato rafforzamento della vigilanza su tutti gli obiettivi sensibili e pieno impiego dell’esercito. Roma si protegge secondo un protocollo standard, mentre osserva sgomenta Parigi colpita al cuore senza che nulla e nessuno, nelle ultime settimane, avesse suggerito l’imminenza e la concretezza della minaccia. Non i Servizi francesi, né quelli alleati. Perché se le analisi delle intelligence europee avevano speculato, era stato piuttosto sui possibili rischi del prossimo viaggio del Papa in Africa (28-29 novembre), sull’imminente apertura del Giubileo della Misericordia.
E, invece, appunto, è ancora Parigi, il teatro dell’orrore islamista. E la simultaneità degli attacchi, i loro obiettivi, la scelta di colpire nel mucchio — uno stadio, un teatro — per massimizzare morte e terrore fanno dire che non è difficile vedere in questa notte le stimmate dell’Is. E poco importa — come spiega una fonte qualificata della nostra Intelligence — che l’attentato sia stato pianificato nel deserto della Siria o in qualche banlieu. Da chi sia partito l’ordine. Che i macellai di questa notte si siano autoinnescati e si muovano sotto la bandiera nera del Califfato come un marchio in franchising o viceversa. Quel che importa, anche simbolicamente, è che sia ancora Parigi. E che il massacro arrivi, anche solo simbolicamente, in coda alle quarantotto ore in cui le polizie europee, il Pentagono e il governo britannico avevano potuto annunciare la caduta della Rete del mullah Krekar. E con lei la probabile morte dal cielo di Jihad John, il macellaio delle decapitazioni rituali. «Attacchi così non si decidono in un giorno — osserva ancora una qualificata fonte dei nostri Servizi — Ma non c’è alcun dubbio che quanto sta accadendo dimostra a quale punto di profondità è arrivata la minaccia.
Che non esiste un angolo di Europa che possa dirsi al sicuro».
Solo le prossime ore potranno cominciare a spiegare cosa realmente stia accadendo in questa notte. E come sia stato possibile. Mentre è vero sin da ora, che Roma e ogni altra capitale europea non possono da oggi dirsi più al sicuro per il semplice fatto di contare su numeri diversi da quelli francesi. I circa 800 foreign fighters partiti dalla Francia, una comunità musulmana di oltre 5 milioni di cittadini, da soli non rendono più sicuri l’Italia, piuttosto che la Germania o il Regno Unito, l’Olanda o i Paesi scandinavi.
«Perché la verità — come confessa un uomo della nostra antiterrorismo — è che da domani mattina sarà tutto terribilmente più difficile. Perché da domani sarà ancora una volta più chiaro quello che sappiamo da sempre, ma che odiamo dire e ripeterci. Che con questa minaccia dovremo convivere. E che il prezzo di sangue da pagare sarà ancora alto».