LA SCOMPOSTEZZA DELLA DEMOCRAZIA

LA SCOMPOSTEZZA DELLA DEMOCRAZIA

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L’UNIONE sacra richiesta, invocata nei momenti drammatici della nazione è durata poche ore nella Francia ferita. Ha resistito lo stretto necessario, sull’onda delle emozioni e del dovere patriottico: il tempo della seduta di Versailles. In cui senatori e deputati, riuniti a congresso, hanno tributato un applauso unanime al presidente socialista.
UN APPLAUSO seguito dall’immancabile canto della Marsigliese. In quel luogo storico, un tempo residenza dei re di Francia, scelto dagli americani per la firma del trattato che mise fine alla loro guerra di indipendenza, e poi dai tedeschi per proclamare l’impero germanico unificato, i parlamentari hanno manifestato il loro attaccamento alla République, incarnata da François Hollande. È stata una messa repubblicana in una cattedrale laica, che di solito è un museo. In quel momento Hollande era il più impopolare presidente della Quinta Repubblica. Ma era sul punto di ricevere quella che nella democrazia d’opinione è una generosa investitura, poiché i sondaggi stavano per aggiudicargli il 73 per cento dei consensi, espressi dai francesi soddisfatti del suo comportamento durante e dopo la strage del 13 novembre. Prima di quel giorno il suo livello di popolarità si fermava a un umiliante 15 per cento. Un balzo eccezionale, equivalente a una (meritata) promozione sul campo.
Quando segue i drammi francesi, il cronista è indotto a soffermarsi sugli aspetti solenni che non mancano quasi mai, anche quando prevale il dolore. E fruga con disinvoltura nella Storia. Ne trova sempre delle tracce. E ne abusa. La tradizione domina nei riti repubblicani destinati a esprimere fedeltà, cordoglio, resistenza, e tanti altri sentimenti. Chi li descrive se ne serve per poi accentuare il brusco ritorno alle rivalità politiche, alle polemiche aspre, anche violente. Gli avversari, fino a poche ore prima composti, riverenti, all’improvviso rilanciano vecchie e nuove accuse, senza risparmiare il capo dello Stato applaudito poco prima a Versailles. Il passaggio dalla compostezza solenne al confronto aperto, a volte scomposto, in questa occasione è stato rapido. L’unione sacra, non dichiarata, ma praticata per alcune ore, è andata in frantumi appena i parlamentari sono rientrati nelle loro sedi. Usciti dalla chiesa laica i compunti fedeli si sono tolti le giacche e si sono rimboccati le maniche. A Versailles la società politica francese ha celebrato con dignità il lutto della nazione, a Parigi ha ripreso la pratica democratica, con la vitalità e la scompostezza che l’accompagna. L’ azione dei jihadisti non l’ha scalfita. E la sicurezza non l’umilia, la protegge. Ne è la prova la seduta di martedì 17 novembre a Palazzo Borbone, che non è stata forse esemplare, ma che ha dimostrato che la libertà continua a scorrere come l’acqua della Senna.
Ritornati martedì all’Assemblea nazionale i deputati d’opposizione hanno dimenticato i tre giorni di lutto ancora in vigore per i 129 morti di venerdì, e quasi volessero cancellare gli unanimi applausi di Versailles, hanno cercato di impedire a Manuel Valls di prendere la parola. Quando il primo ministro è infine riuscito a promettere che il suo governo avrebbe applicato al più presto le misure di sicurezza annunciate da François Hollande, un coro di “è già tardi“ l’ha ridotto al silenzio. Riesce a pronunciare la parola “rimpianto” e si accende un altro coro: “Uno solo?”. Il quale dura alcuni minuti. Tra fischi e urla. Il ministro della giustizia, Christiane Taubira, non fa a tempo ad aprire bocca che un “buuuuu” assordante e puerile si alza dai banchi di destra. Un deputato del partito di Sarkozy ( Les républicains) definisce ridicole e inaccettabili le frasi accorate di Valls che, con tenacia, tenta di commemorare i morti del 13 novembre. E nessuno si alza in piedi o applaude quando, sempre il primo ministro, esalta il comportamento delle forze dell’ordine. Come se non spettasse a lui il compito di elogiare poliziotti e gendarmi. L’opposizione era scatenata nell’emiciclo di Palazzo Borbone, reagiva perché si sentiva defraudata dal presidente socialista che nel discorso aveva annunciato provvedimenti riguardanti la sicurezza a lungo proposti dalla destra e ignorati dalla sinistra. Ce li hanno rubati. Questa è in sostanza l’accusa. Il rimprovero mosso al governo è di averli adottati troppo tardi. Per questo l’opposizione insiste nel denunciare il fallimento, l’esecutivo non avendo dotato a tempo la magistratura e le forze dell’ordine degli strumenti giuridici e tecnici per impedire il massacro jihadista.
In un colloquio pubblicato da Le Monde, Nicolas Sarkozy, sconfitto nel 2012 da François Hollande e probabile suo avversario di nuovo alle presidenziali del 2017, ha espresso le sue critiche con un certo imbarazzo. Non potendo deplorare le misure di sicurezza elencate a Versailles dal presidente socialista, perché ne riconosce la validità, avendole proposte lui stesso senza fortuna nel passato, egli rimprovera all’avversario di agire in ritardo. Troppo in ritardo. Come se una maggior solerzia dell’esecutivo socialista avesse potuto evitare la tragedia. Hollande e il suo governo non hanno saputo prevedere le conseguenze dell’impegno militare della Francia in Siria. Bisognava pensare prima a una revisione della Costituzione al fine di fornire ai magistrati e ai vari settori dell’intelligence i mezzi per neutralizzare i virtuali terroristi già individuati. Per trarre insegnamenti da quel che è accaduto sarà necessario, per Sarkozy, promuovere una commissione parlamentare di inchiesta. Per lui l’arrivo in massa di migranti dalla Siria è un’occasione per i jihadisti che vogliono raggiungere l’Europa. Il sistema Schengen è morto, è impraticabile e i capi di Stato e di governo dell’Unione europea devono decidere al più presto di ristabilire i controlli ai confini.
Le misure di sicurezza annunciate da Hollande, e ricalcate su idee espresse dalla destra e dall’estrema destra, sono state accolte con difficoltà dal Partito socialista, in particolare dalla corrente di sinistra. E dai movimenti che si dichiarano a sinistra della sinistra. Ma ha prevalso per ora un senso di disciplina. Per cui non ci sono state critiche aperte. Il solo ad avere espresso delle riserve è Pouria Amirshahi, eletto deputato in un collegio di francesi all’estero. Il quale ha detto che non si può ridurre la democrazia in cambio di un po’ di sicurezza. La sua obiezione non ha tuttavia suscitato grande interesse nel partito, dove si è convinti che la situazione impone una grande fermezza.


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