La rete dell’Isis
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Il Sinai, il Libano, poi Parigi. Una serie ravvicinata di attacchi, mentre il Califfato subisce sconfitte tra Siria e Iraq. Gli attentati di venerdì sono una vendetta o il tentativo di attirare il nemico nella «battaglia finale»?
WASHINGTON La forza del Califfo sta nell’abilità di smarcarsi, di avere sempre l’iniziativa, di costringere gli avversari a inseguirlo. Anche quando è sotto pressione all’interno dei suoi confini. L’Isis porta comunque avanti il progetto che, secondo l’ideologia, deve portare ad uno scontro apocalittico a Dabiq, nel nord della Siria.
La strage di Parigi è il punto di unione tra la «base» e il futuro. Provoca vittime e lacerazioni nelle società, porta altri adepti, incute terrore, dimostra una capacità di attacco che si sta progressivamente allargando. Per alcuni è la prova del fronte globale, per altri solo un momento di opportunità: c’erano le condizioni ed hanno affondato la lancia in riva alla Senna. Sperando di capitalizzare un successo in termini di «prestigio», legittimazione, peso.
L’attentato segue una serie di sconfitte militari subite dall’Isis. In Iraq curdi e alleati hanno liberato Sinjar, recuperato terreno, create le condizioni per nuove operazioni. Gli Usa hanno eliminato quadri importanti grazie a buone soffiate dall’interno, forse anche Jihadi John è crepato. I caccia americani e quelli francesi hanno picchiato duro sulle strutture petrolifere della fazione per incidere sull’apparato economico. Le unità speciali sono pronte a sostenere gli alleati per altre iniziative. Le vie di comunicazione in pericolo. I volontari messi in prigione un po’ ovunque. Finalmente iracheni e milizie sciite hanno aumentato la spinta: non sono ancora arrivate vittorie nette, però hanno impedito al nemico di espandersi.
In Siria i mujaheddin hanno incassato bordate da parte dei russi nella zona di Aleppo, devono vedersela sempre con i curdi Ypg (appoggiati dagli aerei statunitensi) nel nord est. È improbabile, ma anche la loro «capitale» Raqqa è nella linea di tiro. E forse, tra qualche giorno, potrebbero essere investiti da un’offensiva combinata di Turchia e coalizione internazionale nella regione a nord di Aleppo. Ankara, anche se sempre in modo ambiguo, ha iniziato ad arrestare figure islamiste.
La carneficina in Francia è la ritorsione? Solo in modo indiretto. Gli attentati hanno richiesto probabilmente una lunga preparazione, ben prima degli sviluppi sul campo di battaglia. È però vero che nell’arco di pochi giorni lo Stato Islamico ha condotto o rivendicato azioni multiple prendendo di mira chi ha cercato di fermarli. La Russia, con il caso ancora aperto del jet nel Sinai. L’asse Iran-sciiti con le esplosioni a Beirut sud. Quindi la notte parigina. Senza tralasciare il doppio colpo in Turchia (Suruc, Ankara) ed un terzo sventato il 12 novembre. Altri seguiranno. Episodi letti come una manovra globale dei jihadisti. Secondo la rete Abc è possibile che tutto sia stato innescato da un nuovo «comando per le operazioni esterne», una struttura che Al Baghdadi avrebbe affidato a uomini scelti per agire dietro le linee. Lavoro sporco di cellule ibride, con militanti già sul posto ed altri in arrivo dal Vicino Oriente. Le indagini diranno quanto siano solidi i collegamenti tra casa madre ed esecutori. Le intercettazioni statunitensi avrebbero confermato questo rapporto, come era avvenuto dopo la sparatoria di Verviers, Belgio, e gli attacchi a Charlie Hebdo .
La sfida è ancora più ambiziosa perché vuole spingere i Paesi occidentali a una reazione. Se leggete i proclami Isis il messaggio è beffardo: i vostri leader sono dei codardi, non hanno fegato per mandare i soldati, per questo si affidano all’aviazione. Il sogno è proprio quello di trascinarci in un altro conflitto. A Damasco, Bagdad, presto in Libia. Gli scarponi «infedeli» sul terreno sarebbero presentati come l’esempio del colonialismo, dei crociati invasori. I capi mujaheddin, quando sentono che Casa Bianca e Eliseo promettono di ampliare la campagna antiterrore, non si preoccupano delle perdite. Del resto mandano dozzine di seguaci a morire sui camion bomba. Invece sorridono, convinti che quanto promesso dalla loro guida si stia avvicinando. La fine del mondo.
Molti di loro si preparano a questo momento da quasi un decennio. Gli è stato detto che apparirà il Mahdi, avranno difronte «l’esercito di Roma», definizione che per alcuni studiosi si può applicare agli americani ma persino ai turchi che sono a pochi chilometri. E allora per avvicinare il duello all’Armageddon a Dabiq sono pronti a uccidere altri innocenti. Convinti che la rabbia della vendetta farà il loro gioco.
La strage di Parigi è il punto di unione tra la «base» e il futuro. Provoca vittime e lacerazioni nelle società, porta altri adepti, incute terrore, dimostra una capacità di attacco che si sta progressivamente allargando. Per alcuni è la prova del fronte globale, per altri solo un momento di opportunità: c’erano le condizioni ed hanno affondato la lancia in riva alla Senna. Sperando di capitalizzare un successo in termini di «prestigio», legittimazione, peso.
L’attentato segue una serie di sconfitte militari subite dall’Isis. In Iraq curdi e alleati hanno liberato Sinjar, recuperato terreno, create le condizioni per nuove operazioni. Gli Usa hanno eliminato quadri importanti grazie a buone soffiate dall’interno, forse anche Jihadi John è crepato. I caccia americani e quelli francesi hanno picchiato duro sulle strutture petrolifere della fazione per incidere sull’apparato economico. Le unità speciali sono pronte a sostenere gli alleati per altre iniziative. Le vie di comunicazione in pericolo. I volontari messi in prigione un po’ ovunque. Finalmente iracheni e milizie sciite hanno aumentato la spinta: non sono ancora arrivate vittorie nette, però hanno impedito al nemico di espandersi.
In Siria i mujaheddin hanno incassato bordate da parte dei russi nella zona di Aleppo, devono vedersela sempre con i curdi Ypg (appoggiati dagli aerei statunitensi) nel nord est. È improbabile, ma anche la loro «capitale» Raqqa è nella linea di tiro. E forse, tra qualche giorno, potrebbero essere investiti da un’offensiva combinata di Turchia e coalizione internazionale nella regione a nord di Aleppo. Ankara, anche se sempre in modo ambiguo, ha iniziato ad arrestare figure islamiste.
La carneficina in Francia è la ritorsione? Solo in modo indiretto. Gli attentati hanno richiesto probabilmente una lunga preparazione, ben prima degli sviluppi sul campo di battaglia. È però vero che nell’arco di pochi giorni lo Stato Islamico ha condotto o rivendicato azioni multiple prendendo di mira chi ha cercato di fermarli. La Russia, con il caso ancora aperto del jet nel Sinai. L’asse Iran-sciiti con le esplosioni a Beirut sud. Quindi la notte parigina. Senza tralasciare il doppio colpo in Turchia (Suruc, Ankara) ed un terzo sventato il 12 novembre. Altri seguiranno. Episodi letti come una manovra globale dei jihadisti. Secondo la rete Abc è possibile che tutto sia stato innescato da un nuovo «comando per le operazioni esterne», una struttura che Al Baghdadi avrebbe affidato a uomini scelti per agire dietro le linee. Lavoro sporco di cellule ibride, con militanti già sul posto ed altri in arrivo dal Vicino Oriente. Le indagini diranno quanto siano solidi i collegamenti tra casa madre ed esecutori. Le intercettazioni statunitensi avrebbero confermato questo rapporto, come era avvenuto dopo la sparatoria di Verviers, Belgio, e gli attacchi a Charlie Hebdo .
La sfida è ancora più ambiziosa perché vuole spingere i Paesi occidentali a una reazione. Se leggete i proclami Isis il messaggio è beffardo: i vostri leader sono dei codardi, non hanno fegato per mandare i soldati, per questo si affidano all’aviazione. Il sogno è proprio quello di trascinarci in un altro conflitto. A Damasco, Bagdad, presto in Libia. Gli scarponi «infedeli» sul terreno sarebbero presentati come l’esempio del colonialismo, dei crociati invasori. I capi mujaheddin, quando sentono che Casa Bianca e Eliseo promettono di ampliare la campagna antiterrore, non si preoccupano delle perdite. Del resto mandano dozzine di seguaci a morire sui camion bomba. Invece sorridono, convinti che quanto promesso dalla loro guida si stia avvicinando. La fine del mondo.
Molti di loro si preparano a questo momento da quasi un decennio. Gli è stato detto che apparirà il Mahdi, avranno difronte «l’esercito di Roma», definizione che per alcuni studiosi si può applicare agli americani ma persino ai turchi che sono a pochi chilometri. E allora per avvicinare il duello all’Armageddon a Dabiq sono pronti a uccidere altri innocenti. Convinti che la rabbia della vendetta farà il loro gioco.
Guido Olimpio
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