La Francia a rischio tra lepenismo e guerra civile nelle banlieue

by MARC LAZAR, la Repubblica | 26 Novembre 2015 10:22

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MARC LAZAR, la Repubblica 
I terribili attacchi a Parigi e in Tunisia non sono frutto del caso. I primi, commessi da terroristi in maggioranza francesi, traumatizzano la Francia, mentre i secondi mirano a suscitare una nuova ondata di migranti attraverso il Mediterraneo. Come ha spiegato Gilles Kepel, in questo modo Daesh intende provocare una reazione indiscriminata contro l’islam, che a sua volta scatenerebbe una contro- reazione dei musulmani, solidale con gli islamisti. Con la prospettiva di scatenare in Francia una guerra civile che rischierebbe di estendersi ad altri Paesi. Benché basata su fantasie deliranti, la strategia della tensione islamista ha già sconvolto la società e la politica francese. In effetti, Daesh gioca sui dubbi e sulle angosce che da decenni tormentano la società, su questioni quali l’identità nazionale, l’immigrazione e la religione musulmana; tanto più che in questi ultimi anni alcuni saggisti di successo insistono nell’additarla come la principale causa di quello che considerano come il declino francese. E per di più questa strategia suscita paure sempre più manifeste. A quanto emerge dai sondaggi, i francesi vorrebbero più autorità e un rafforzamento delle frontiere, approvano le misure drastiche in materia di sicurezza e diffidano sempre più dell’islam, benché almeno per ora distinguano i musulmani in generale dai terroristi che si richiamano all’islam.
Si è venuta a creare così una spirale politica vertiginosa. Da un lato assistiamo a una rilegittimazione del politico. Si riprende coscienza dell’importanza del potere statuale, che ha tra le sue missioni, secondo una linea di pensiero risalente a Thomas Hobbes, quella di garantire la protezione dei cittadini. Ma più in generale, si esprime un grande desiderio di unità e coesione. Si tratta però di un desiderio ambiguo e illusorio, poiché fa capo ad almeno due diverse concezioni del patriottismo e del’unità nazionale: l’una è caratterizzata dal ripiegamento su se stessi, mentre l’altra vorrebbe mantenere uno spirito d’apertura. In ogni caso, non si sono mai prodotte e vendute tante bandiere tricolori, né si è mai sentita intonare così spesso la Marsigliese.
D’altro lato, la politica stessa è scossa, se non addirittura stravolta. Il presidente della Repubblica dichiara che la Francia è in guerra, proclama lo stato d’emergenza con tutto il suo apparato di disposizioni di sicurezza, e propone di modificare la Costituzione. Da abile politico, fa sue le proposte più dure avanzate da anni dall’opposizione di destra e dal Front National. Di conseguenza, quasi automaticamente la sua popolarità, in qualche modo istituzionale, sta risalendo. La sinistra si allinea al suo presidente, a eccezione di alcune voci che si preoccupano per le sorti delle libertà e denunciano la scarsa attenzione per la frattura sociale, ritenuta all’origine delle vocazioni jihadiste. La destra, presa di contropiede, si vede costretta ad approvare, pur continuando a criticare il governo. Un trionfo per Marine Le Pen, che ha l’accortezza di gestirlo con modestia, spiegando però che si doveva ascoltarla prima. Il Front National ha dunque il vento in poppa, in vista delle imminenti elezioni regionali del 6 e 13 dicembre. Il problema fondamentale della sicurezza è diventato prioritario e determinante dopo il trauma del 13 novembre, a discapito di qualunque altro tema, come per l’appunto quello delle regioni, e più in generale, l’economia, l’occupazione, le disuguaglianze e l’effetto serra. E ciò alla vigilia della grande Conferenza mondiale sul clima – già indicato da François Hollande come assoluta priorità – che si aprirà il 30 novembre. L’agenda politica ha dunque subito un mutamento totale. E se dovessero verificarsi altri attentati, il modo di concepire e organizzare la politica andrebbe verosimilmente incontro a cambiamenti durevoli. Già da qualche tempo il divario tra destra e sinistra è sempre meno visibile e vitale, davanti alla concorrenza di altre controversie, ad esempio tra gli europeisti e i loro avversari. Le preoccupazioni sulla sicurezza hanno dunque operato una trasformazione fondamentale. Eppure la Francia non è abbattuta. Non è un Paese in ginocchio. Sono in atto numerosissime iniziative, da parte delle autorità ma anche di semplici cittadini, per commemorare i drammi vissuti e dimostrare la volontà di resistenza dei francesi. Resta comunque il grande interrogativo su come la Francia riuscirà ad abbattere fin nelle sue radici la sfida del terrorismo. Alcuni insegnamenti si potrebbero trarre dall’esperienza italiana degli anni di piombo, che certo presentano moltissime differenze, ma anche alcuni aspetti comparabili, quantunque non identici. Il compito di sconfiggere il terrorismo e di sventare le sue trappole non si pone solo per i francesi, ma per tutti gli europei.
Traduzione di Elisabetta Horvat
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