Jun­gle city, la nuova frontiera interetnica

Jun­gle city, la nuova frontiera interetnica

Loading

Ad aprile in Fran­cia è nata una nuova «città». La chia­mano la « Jun­gle » (la giun­gla) di Calais. Si trova a nord-est del Paese, non lon­tano da Inghil­terra e Bel­gio. Si svi­luppa in un ter­reno palu­doso grande un chi­lo­me­tro per cin­que­cento metri vicino al mare. Alla sua fon­da­zione acco­glieva 2000 abi­tanti pro­ve­nienti da molti Paesi d’Europa, Asia e Africa. Que­sta colo­nia è diven­tata in pochi mesi il terzo agglo­me­rato più popo­lato del comune di Calais. Al 24 otto­bre le auto­rità fran­cesi sti­mano che la Jun­gle ospi­te­rebbe 8000 abitanti.

«Gli abi­tanti della Jun­gle ven­gono da paesi in con­flitto o sono fug­giti da un sistema eco­no­mico asfis­siante ed ingiu­sto», spiega Assan, che viene dal Dar­fur, dove stu­diava lin­gue. Adesso spera di poter ripren­dere i suoi studi a Lon­dra o Man­che­ster al più pre­sto. Gani è koso­varo. Vive qui da quat­tro mesi. È molto spi­gliato e si regge su due stam­pelle. «Mi sono rotto la gamba destra cadendo dal treno che col­lega Parigi a Lon­dra», dice in un fran­cese per­fetto. «So che è peri­co­loso ma appena potrò ci ripro­verò per­ché in Kosovo non c’è lavoro e poi mi piace tanto l’Inghilterra» riba­di­sce con orgo­glio dopo averci dato il suo biglietto da visita, dove l’indirizzo che appare è Pri­sh­tine Hotel Jungle.

La Jun­gle è il campo pro­fu­ghi voluto dal sin­daco Nata­cha Bou­chart nella peri­fe­ria di Calais lo scorso aprile. In que­sto modo si è voluto con­cen­trare tutti i migranti in fuga da fame, guerre e dise­qui­li­bri eco­no­mici in un unico ter­reno fino ad allora inu­ti­liz­zato e abba­stanza lon­tano dal cen­tro abi­tato e turi­stico. Inu­ti­liz­zato per due motivi: è una zona d’interesse eco­lo­gico e fau­ni­stico di tipo 1 (Znieff), cioè sarebbe un’area pro­tetta intoc­ca­bile; al tempo stesso la Jun­gle si trova in una zona Seveso, cioè con­si­de­rata a rischio per la pre­senza di due indu­strie alta­mente tos­si­che e peri­co­lose quali la Inte­ror e la Syn­the­xim. Da aprile i migranti non hanno il diritto di accam­parsi altrove. «Lì non danno più fasti­dio a nes­suno e adesso la città è più pulita» dice un risto­ra­tore che lavora nella piazza prin­ci­pale di Calais.

Euro­tun­nel e porto presidiati

La città non sem­bra più la stessa. Ora­mai è quasi impos­si­bile imbat­tersi in un migrante e sono state can­cel­late tutte le tracce del loro pas­sag­gio. Tut­ta­via con­ti­nuano a lamen­tarsi gli ope­ra­tori turi­stici della zona, secondo i quali la pre­senza dei migranti in città avrebbe fatto per­dere loro molti clienti. Eppure a par­tire da aprile il mini­stro degli Interni Caze­neuve ha incre­men­tato quasi ogni mese la pre­senza delle forze dell’ordine a pre­si­dio dell’Eurotunnel e del porto. Molto spesso que­sti poli­ziotti ven­gono da regioni molto lon­tane (Alsa­zia ed Ile de France) e pas­sano le loro tra­sferte per­not­tando negli hotel della zona. Inol­tre gli alber­ga­tori che si lamen­tano dimen­ti­cano che nume­rose fami­glie più agiate degli altri migranti (soprat­tutto siriane) pre­fe­ri­scono per­not­tare in hotel piut­to­sto che nella Jun­gle pagando in nero gra­zie alla com­pli­cità degli alber­ga­tori stessi.

04europaf01 britain calais migranti v604

Per arri­vare alla Jun­gle biso­gna supe­rare il porto, entrare nella zona indu­striale e con­ti­nuare fin­ché sei camio­nette delle Crs (corpo di poli­zia anti-sommossa fran­cese) annun­ciano l’ingresso ovest. Da qui seguiamo Muha­med, un gio­vane ira­cheno fug­gito dall’avanzata di Daesh che è con­ten­tis­simo di poter par­lare con qual­cuno. In mano ha «The Secret Adver­sary», un romanzo di Aga­tha Chri­stie. L’ha preso in una delle nume­rose biblio­te­che della Jun­gle: «così potrò miglio­rare il mio inglese». Ci chiede di seguirlo fino alla sua tenda, nella zona degli ira­cheni. Gli abi­tanti della Jun­gle si sono rag­grup­pati per Paese di pro­ve­nienza o per etnia. Il «quar­tiere» ira­keno è abi­tato pre­va­len­te­mente da curdi. Fami­glie intere com­po­ste da nonni, geni­tori e bimbi di pochi anni. I più for­tu­nati, coloro che hanno ancora un po’ di soldi e quanti si sono sta­bi­liti da più di un mese vivono in delle barac­che fatti di legno, pla­stica e stoffa. Tutti gli altri si devono accon­ten­tare di una tenda che in altri con­te­sti farebbe la gioia dei cam­peg­gia­tori e degli scout.

Aspet­tando il passeur

Muha­med, mura­tore di 44 anni, viene da un paese vicino Mosul. Ha por­tato tutta la fami­glia a Calais. «Vor­rei rag­giun­gere mio fra­tello in Inghil­terra per poter rico­min­ciare a vivere tran­quillo e per dare un futuro ai miei figli». Sor­seg­gia un thè in attesa di essere chia­mato dal «pas­seur» (lo sca­fi­sta) per pro­vare a rag­giun­gere l’Inghilterra nascon­den­dosi in una mac­china o in un camion che si imbar­cherà in uno dei nume­rosi ferry diretti alle bian­che sco­gliere di Dover.

La Jun­gle è attra­ver­sata da due strade prin­ci­pali nord-sud e ovest-est. Attorno a que­ste vie prin­ci­pali gli afghani hanno aperto tanti risto­ranti e qual­che nego­zio. Il momento della cena è l’occasione per cono­scere Ahmed, cuoco cin­quan­tenne nato a Kabul e da tre anni in Ita­lia. Dopo aver otte­nuto i docu­menti ha lavo­rato per tre anni nella risto­ra­zione a Cata­nia. «Quat­tro mesi fa sono stato licen­ziato e sono stato costretto a par­tire per cer­care lavoro in Inghil­terra» ci rac­conta in un ita­liano per­fetto con un accento sici­liano. «Poi sono arri­vato qui a Calais. Ho visto le con­di­zioni in cui viveva la gente e ho deciso di aprire un risto­rante. Penso di rima­nere otto o nove mesi e poi tor­nerò a Cata­nia». Da fuori il locale è ano­nimo. La strut­tura improv­vi­sata in lamiera, car­tone e assi di legno cela al suo interno un unico ambiente ben riscal­dato ed illu­mi­nato gra­zie ad un gene­ra­tore. Sulla destra si trova la cucina ed una bacheca con il menu: riso, carne, ver­dure, pata­tine fritte, acqua, birra, thè e caffè sono sem­pre dispo­ni­bili. Un pasto com­pleto costa media­mente tre euro a per­sona. Men­tre man­giamo un buo­nis­simo riso accom­pa­gnato da pollo arro­sto ne appro­fit­tiamo per osser­vare le pareti rico­perte da stoffe e tes­suti dai colori e motivi più dispa­rati. Per strada è pos­si­bile com­prare beni ali­men­tari e di elet­tro­nica fino a tardi a prezzi non molto dif­fe­renti da quelli dispo­ni­bili in città.

Night club Etiopia

È sabato sera. Le strade ed i risto­ranti sono pieni di gio­vani che hanno voglia di diver­tirsi e di sca­ri­carsi un po’ dallo stress. Esi­ste addi­rit­tura un tea­tro, da dove esce il suono ele­gante di lon­tane note ira­niane. «Tenai­stel­lin! Demen andaru?» Non tro­vando risto­ranti etiopi, pro­viamo a chie­dere in ama­rico a tre ragazzi di Addis Abeba dove pos­siamo gustare dell’autentico ‘ndoro wat. Dopo averli seguiti per qual­che minuto ci ritro­viamo in un night club etiope ed eri­treo. Gli etiopi hanno pre­fe­rito con­cen­trarsi su que­sto genere di eser­cizi com­mer­ciali. E infatti nella loro zona è pieno di disco­te­che dove è pos­si­bile tro­vare, oltre alla musica, alcol, dro­ghe e prostitute.

L’indomani mat­tina i cri­stiani etiopi ed eri­trei festeg­giano la ricor­renza dell’arrivo del cri­stia­ne­simo nel Corno d’Africa e ci invi­tano alla Messa nella chiesa prin­ci­pale, che dura dalle 8 di mat­tina fino alle 12, ter­mi­nan­dosi con un pranzo comu­ni­ta­rio. La chiesa è sem­plice ma ele­gante e fun­zio­nale come gli altri nume­rosi edi­fici di culto della Jun­gle come le chiese pro­te­stanti e le moschee.

«Ma in tutto que­sto che fa lo Stato?», si chiede Yoann, gio­vane stu­dente che è venuto da Parigi per vedere con i pro­pri occhi la situa­zione. Il mini­stro dell’interno Caze­neuve ha annun­ciato che sarà incre­men­tata la pre­senza delle forze dell’ordine. Inol­tre ver­ranno distri­buite delle «tende riscal­date» ed aumen­te­ranno i posti letto per donne e bam­bini al cen­tro d’accoglienza diurno Jules Ferry.

Da aprile ogni giorno cen­ti­naia di volon­tari pro­ve­nienti da Inghil­terra, Fran­cia ed altri Paesi si met­tono a com­pleta dispo­si­zione per pro­vare a miglio­rare le con­di­zioni di vita dei resi­denti della Jun­gle. Insieme alle grandi asso­cia­zioni ed Ong, tutte pre­senti, da Medici Senza Fron­tiere alla Cari­tas, è una vera e pro­pria gara di soli­da­rietà tra fami­glie che por­tano vestiti, cibo, mate­riale da costru­zione, pro­fes­sori che ven­gono ad inse­gnare il fran­cese, addi­rit­tura bimbi che ven­gono a con­di­vi­dere i loro gio­cat­toli… Fra­nçois stu­dia lin­gue a Lille e viene ogni fine set­ti­mana per orga­niz­zare dei corsi di lin­gua nella scuola che si trova vicino al cinema. «Un giorno una mia amica mi ha invi­tato a cono­scere dei suoi amici suda­nesi che vive­vano qui e da allora non me ne sono più andata», rac­conta Mar­gue­rite, che il 24 sera ha orga­niz­zato la pro­ie­zione del film di Cha­plin «Tempi moderni» che ha riscosso un grande suc­cesso. Ad ogni ora del giorno e della notte arri­vano fur­goni cari­chi di cibo e vestiti. Spesso ven­gono distri­buiti senza alcuna logica con lun­ghe code che cau­sano momenti di ten­sione e tal­volta di vio­lenza. Manca una gestione dei rifiuti, che spesso ven­gono bru­ciati cau­sando nubi nere di dios­sina. «Manca una gestione cen­trale di tutti gli aiuti che la società civile vor­rebbe appor­tare a que­sti 8000 dispe­rati», com­menta fru­strato, un pen­sio­nato di Bru­xel­les che vor­rebbe distri­buire vestiti e sapone ma non ha idea di come muo­versi e a chi rivolgersi.

È sabato sera, prima di andare in tenda seguiamo la luce di una lam­pada all’interno della chiesa etiope. Un uomo è chino con un pen­nello su una tela dove comin­ciano a deli­nearsi i tratti di un angelo che infilza un demone con una lan­cia. «Sono un arti­sta. Sono un pit­tore eri­treo. Sono io che decoro la chiesa». Così si intro­duce Pau­los. Come lui altre 8000 per­sone, altre 8000 sto­rie, dimen­ti­cate die­tro i numeri e le gene­ra­lità. Men­tre la popo­la­zione della Jun­gle aumenta.



Related Articles

Lavoro: 8,5 milioni senza contratto, la spending review colpisce la scuola

Loading

Istat. Due lavoratori su tre: è la quota più alta dal 2008. Senza conclusione le trattative per 51 intese, 15 riguardano la PA. Ecco come il blocco dei contratti penalizza il mondo dell’istruzione pubblica

Il premier Saad Hariri si dimette e rovescia il tavolo libanese

Loading

Libano. Il premier sunnita ha annunciato le dimissioni da Riyadh, denunciando l’Iran e un presunto piano di Hezbollah di assassinarlo

Morsi s’affida all’esercito

Loading

EGITTO DECRETO DELLA CAMERA ALTA: AI MILITARI POTERI ECCEZIONALI PER L’ARRESTO DEI CIVILI
In vigore lo stato d’emergenza nelle tre città  del Sinai: Port Said, Suez e Ismailia

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment