Jet russo precipita nel Sinai: 224 morti L’Is: “Colpito da noi”. Mosca: è falso

Jet russo precipita nel Sinai: 224 morti L’Is: “Colpito da noi”. Mosca: è falso

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BEIRUT. Attentato, o avaria? Allo stato degli atti, l’unico dato certo è che un Airbus A321 della compagnia aerea russa Kogalymavia, partito ieri mattina dalla famosa località balneare egiziana di Sharm el Sheik e diretto a San Pietroburgo, s’è schiantato venti minuti dopo il decollo sulle guglie ispide del deserto del Sinai, senza lasciare scampo ai 217 passeggeri (tutti russi tranne tre ucraini e un bielorusso) e alle 7 persone dell’equipaggio. Per il resto, sulle cause del disastro, è ancora presto per sciogliere il mistero: ma, mentre le autorità egiziane sembrano orientate verso l’ipotesi del “guasto tecnico”, una rivendicazione della branca locale dello Stato Islamico, la cosiddetta “Provincia del Sinai” (Welayat Sinai), riporta l’incidente ad una ritorsione contro l’offensiva scatenata da Putin verso i seguaci del Califfato in Siria.
Rivendicazione tutta da verificare fatta circolare su Twitter parecchie ore dopo che la notizia del disastro s’era diffusa: «In risposta ai bombardamenti russi che hanno ucciso centinaia di musulmani in Siria ». I jihadisti hanno poi accompagnato la loro dichiarazione con un video che documenta l’esplosione in volo di un aereo. La mossa propagandistica dell’Is ha fatto subito innalzare la temperatura dei media russi, al punto che il ministro dei Trasporti, Maxim Sokolov, s’è affrettato, insieme all’Egitto, a bollare come «inattendibile l’ipotesi dell’attantato ».
La scena che s’è presentata ai primi soccorritori non poteva essere più drammatica. «Vedo davanti a me – ha raccontato uno dei partecipanti all’operazione – l’areo spezzato in due. Ci sono corpi tutt’attorno. Alcuni hanno ancora le cinture allacciate. Ma la maggior parte è ancora dentro l’altra sezione dell’aereo». Il silenzio di morte in cui è immersa la scena è rotto soltanto dallo squillare dei telefonini usciti indenni dall’impatto, il disperato appello alla vita dei parenti lontani, i quali, in ansia all’aeroporto di San Pietroburgo, hanno già capito tutto.
L’aereo era partito da Sharm, la meta per eccellenza del turismo balneare a basso prezzo, alle 5,51 del mattino. Venti minuti dopo, quando aveva appena raggiunto la quota di crociera di quasi 10.000 metri e si apprestava ad uscire dal territorio egiziano, era scomparso dai radar. Cosa è successo in quei venti minuti è la chiave del giallo. All’inizio si è sparsa la voce che, improvvisamente, il comandante, un pilota esperto, dicono, con molte migliaia di ore di volo, abbia lanciato un Sos, chiedendo di potere effettuare un atterraggio d’emergenza, o al Cairo, o all’Aroporto di Al Arish. Ma in seguito le autorità egiziane hanno smetito che ci sia stata una richiesta di soccorso.
Tra le voci che sembrerebbero accreditare la pista dell’avaria c’è anche quella, rimbalzata sulle agenzie, secondo cui i piloti durante la sosta a Sharm, si sarebbero lamentati delle condizioni di un motore. La compagnia aerea, Kogalymavia, che utilizza il marchio MetroJet, è alquanto chiacchierata per un paio di precedenti incidenti, anche se non così gravi. Le autorità russe dei Trasporti l’hanno messa nel mirino. Ispezioni e perquisizioni nella sede della compagnia mentre un gruppo di inquirenti è stato spedito a Samara, dove l’aereo ha fatto rifornimento prima di partire alla volta di Sharm, per sequestrare ed esaminare campioni del carburante usato.
Tutto questo, ovviamente, sembra propendere per la tesi del guasto, anche se un guasto può anche essere indotto da un atto di sabotaggio. Ma un filo rosso che permetta una ricostruzione attendibile non vene fuori, dicono a sera le stesse autorità russe. Resta quel relitto spezzato tra le rocce acuminate del Sinai. Sembra agli esperti egiziani che l’aereo sia precipitato verticalmente, come per un improvvisa e totale perdita di potenza, alla velocità di due chilometri al minuto. Il presidente Al Sisi ha aperto le porte dell’inchiesta sul disastro alle autorità russe. I rapporti con Putin, già eccellenti, son adesso rinsaldati dalla comune guerra al terrorismo. Se Putin ha scelto la Siria come banco di prova, Al Sisi ha nel Sinai il suo principale campo di battaglia. Centinaia di soldati e ufficiali egiziani sono morti in quest’area. E perdite importanti hanno subito anche i jihadisti di Welayati Sinai. Ma finora non hanno mai mostrato di aver armi così sofisticate da colpire un aereo che vola a diecimila metri d’altezza.


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