Poco prima il ministero degli Esteri, di cui il premier ha l’interim, aveva parlato di un «passo discriminatorio, ispirato ai movimenti di boicottaggio» e per di più intrapreso «in un momento in cui Israele sta affrontando un’ondata di terrorismo contro i suoi cittadini». Una scelta che segna negativamente il rapporto con l’Ue, il dialogo diplomatico – ha annunciato ieri sera il ministero – «viene temporaneamente interrotto» in diversi forum previsti nelle prossime settimane. Si tratta di «una questione tecnica e non politica», ha replicato il commissario europeo per l’Euro, Valdis Dombrovskis da Bruxelles, «l’Ue non sostiene in al- cun modo boicottaggi o sanzioni verso Israele», anzi ha proseguito Dombrovskis, i prodotti israeliani provenienti da zone entro i confini internazionalmente riconosciuti beneficiano di un trattamento doganale agevolato. Per l’Ue è una questione di correttezza e trasparenza nei confronti dei consumatori con informazioni “corrette” sulla tracciabilità del prodotto.
Il documento adottato ieri dall’Ue – tre pagine e 12 paragrafi – è il risultato dei tre anni di lavoro e di discussione all’interno dell’Unione, ed è andato di pari passo con gli avvertimenti di Bruxelles a Israele sulle possibili conseguenze nel proseguimento della costruzione degli insediamenti colonici In Cisgiordania, che in questi anni hanno raggiunto quota 130 e sono abitati da circa mezzo milione di settler.
«La decisione europea è un passo imbarazzante», ha detto ieri sera il ministro della Difesa Moshe Yaalon, «che premia il terrorismo, è strano che l’Unione europea scelga di danneggiare l’unica democrazia in Medio Oriente mentre sta affrontando un’ondata di terrore».
Il possibile impatto della decisione europea sull’economia è prossimo allo zero, per stessa ammissione dei responsabili economici israeliani. Nel 2014 i Paesi della Ue hanno importato beni da Israele per circa 14 miliardi di euro. Secondo gli ultimi dati disponibili della Israel Manifactures Association, nel 2012 le esportazioni globali dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est e dalle colline del Golan sono state pari a 200 milioni di euro. Quelle dirette nei Paesi della Ue hanno riguardato meno di 80 milioni di euro, lo 0,7% del valore totale. Ma è evidente che l’etichettatura dei prodotti provenienti da Cisgiordania, Gerusalemme Est e Golan – ortaggi, frutta, vino e cosmetici – che l’Unione europea considera illegalmente occupati, ha il potenziale di danneggiare Israele nel lungo periodo e innescare una valanga che potrebbe finire con un boicottaggio internazionale.
La tracciabilità dei prodotti degli insediamenti colonici era già stata adottata dalla Gran Bretagna nel 2009, dalla Danimarca nel 2013, dal Belgio nel 2014. La dizione adottata per tutti è più o meno la stessa: Made in Cisgiordania (insediamenti israeliani) e nel caso di merci palestinesi Made in Cisgiordania (prodotto palestinese).
A Ramallah l’Autorità nazionale palestinese ha applaudito alla decisione dell’Ue. «Accogliamo con favore questa decisione e la consideriamo un passo significativo verso gli insediamenti israeliani, costruiti illegalmente su territori palestinesi occupati», ha commentato ieri sera Saeb Erekat, braccio destro del presidente palestinese Abu Mazen. Ma anche i leader palestinesi dovranno considerare il fatto che in Cisgiordania ci sono 14 aree industriali con 800 fabbriche e strutture agricole che impiegano decine di migliaia di lavoratori palestinesi che non trovano un’altra occupazione nelle zone amministrate dall’Anp