Il protagonismo francese nel Sahel tra risorse e operazioni militari

Il protagonismo francese nel Sahel tra risorse e operazioni militari

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Il presidente Hollande è consapevole del ruolo che la Francia sta svolgendo nella regione del Sahel e in particolare nel Mali. Le sue parole durante l’incontro con i sindaci a Parigi, sono suonate quasi come un presagio: «i terroristi nel 2012 si sono accaniti contro la cultura del Mali. La Francia ha dovuto prendersi le sue responsabilità e portare avanti azioni importanti». Quando nel gennaio 2013 la Francia lanciò l’Operazione Serval in Mali, lo fece in nome dell’antiterrorismo, per sedare la rivolta dei gruppi separatisti e islamisti legati ad Al-Qaeda, ristabilire la pace in loco e scongiurare il rischio che l’ex colonia francese diventasse la base operativa di attacchi terroristici contro l’Occidente.

Una Francia che si auto ergeva a paladina della sicurezza europea. Naturalmente, a dispetto di quella che si propone come una politica dell’altruismo politico e militare, diverse sono le ragioni alla base di quell’intervento e dei successivi nella zona del Sahel.

Non è la prima volta infatti che la Francia interviene nelle sua ex-colonie in nome di propagandati obiettivi altri rispetto a quelli reali che costituiscono la politica estera francese tout court, altrimenti nota come «Francafrique». Vale a dire la difesa degli interessi militari, economici e strategici garantita da una presenza imposta e continuata in nome di vecchi accordi. Che attraverso l’intervento in Mali tale politica ne sia uscita rafforzata lo si evince dal patto di difesa tra l’ex colonia e l’ex madrepatria del luglio 2014.

Un trattato di cooperazione di difesa, che sostituisce un accordo di cooperazione militare del 1985 (che limitava la Francia a fornire addestramento militare e assistenza tecnica all’esercito del Mali) e garantisce invece legami militari a lungo termine tra i due paesi, a Parigi un ruolo di primo piano negli ex territori coloniali e una presenza militare di gran lunga più stabile oltre a delineare le linee di condivisione di intelligence francese, formazione ed equipaggiamento delle forze militari del Mali.

Ad agosto 2014 un’altra missione, l’Operazione Barkhane conclude la precedente avviando una nuova azione militare contro la minaccia antiterroristica regionale — che la precedente non ha del tutto neutralizzato — attraverso cinque paesi della regione del Sahel del Nord Africa: quartier generale e forza aerea nella capitale ciadiana di N’Djamena, con una base regionale a Gao, nel nord del Mali, una base delle forze speciali nella capitale del Burkina Faso, Ouagadougou, e una base di intelligence nella capitale del Niger, Niamey.

In altre parole, la missione finisce per costituire una cintura di presenza militare francese nei cinque paesi africani settentrionali del Burkina Faso, Mali, Ciad, Niger e Mauritania. Nel quadro della difesa degli interessi economici francesi si inquadra anche il sostegno dato da Parigi ai separatisti del Coordination of Movements for Azawad: sostenerli infatti significa impedire l’avanzata dei gruppi jihadisti verso i confini del Niger, il quarto produttore mondiale di uranio (estremamente necessario agli impianti nucleari francesi). Proteggere i confini orientali del Niger significa proteggere il gigante minerario di Areva che fornisce più di un terzo delle stazioni di energia nucleare della società per l’energia elettrica in Francia.

Gli investimenti finanziari francesi nel settore mineriario in Mali e i suoi interessi strategici ed economici sono enormi. La difesa e il mantenimento di questi interessi costituiscono la ragione prima dell’intervento francese nel Sahel oltre ovviamente alla minaccia dei gruppi integralisti attivi nel Nord, ricco di risorse minerarie tra cui petrolio, fosfati, ferro e uranio. A questi interessi si aggiungono quelli più strettamente militari e politici di mantenimento di una storica e ben radicata influenza politica contro il crescente dominio degli Usa e della Cina. L’azione antiterroristica si inquadra dunque nella difesa di interessi strategici che gli consentano di mantenere un ruolo di primo piano nel Sahel e in Europa.

In questo scenario vanno inserite dunque le parole di Hollande dopo l’attacco all’hotel Radisson Blu di Bamako: «Dobbiamo dimostrare la nostra solidarietà al Mali, un Paese amico».



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