Ai francesi che cercavano di vivere normalmente, sui boulevard e nei caffè, per sfidare la paura, il primo venerdì dopo quello insanguinato del 13 novembre, le immagini africane non sembravano tanto lontane. Potevano apparire, a molti, come il seguito di quelle vissute. E in realtà lo erano perché il Mali e i Paesi vicini sono fortemente legati alla Francia. Non si può quindi escludere che i terroristi di Bamako abbiano deciso di agire spontaneamente in seguito agli avvenimenti di Parigi. Forse non per un preciso ordine ma di propria iniziativa, per imitare l’impresa dei jihadisti sulle sponde della Senna. La recente creazione di “province” dello Stato Islamico nella non tanto lontana Libia lascia tuttavia aperto qualche dubbio. Nel Mali c’è da tre anni una forte presenza militare francese che ha contribuito in modo determinante a ristabilire un certo ordine, riducendo la minaccia islamista e separatista. E oggi quella presenza è una garanzia per il governo. La tesi secondo la quale anche i terroristi di Bamako volessero punire Parigi, che bombarda le basi dello Stato Islamico in Siria, non è poi tanto campata in aria. Se non c’è una strategia unica, i legami tra terroristi sono stretti. Non mancano gli strumenti per renderli operativi. E poi c’è il fanatismo comune.
Capita spesso a chi racconta il presente di ricordare che la storia non si ripete, che avvenimenti e situazioni al massimo si assomigliano, e che tuttavia la storia ci insegue nella memoria, anche se ne siamo inconsapevoli. Il passato coloniale ha lasciato, nei popoli che l’hanno subito, anche nelle generazioni ormai lontane da quell’epoca, un vago rancore che riemerge incontenibile e soffoca a tratti il più forte desiderio di raggiungere lo stile di vita, non solo economico, di quelli che erano i dominatori. Tra quest’ultimi e i dominati, o i loro discendenti, è rimasto qualcosa di familiare. Il possibile odio si perde spesso in quell’intimità inconscia che unisce i coetanei, reduci delle stesse peripezie, vissute negli stessi luoghi anche senza frequentarsi. Magari detestandosi. Questi sentimenti, meno irreali di quel che appaiono, si annidano nelle storie di terrorismo che stiamo vivendo. E venivano alla mente, ieri, seguendo da Parigi la vicenda di Bamako.
Nonostante le irresistibili tentazioni neocoloniali, e le sopraffazioni reali, concrete della stessa natura, la Francia e i Paesi del defunto impero hanno imparato a vivere in un reciproco rispetto. Il Mali merita una particolare attenzione. È una delle più affascinanti terre del continente. Per la musica. Per i paesaggi. Per la gente. E nel passato è stato anche un esempio, per alcune stagioni, se non proprio di democrazia, di tolleranza politica, senz’ altro rara tra le nazioni africane. Il vento islamista l’ha cambiato. L’ha stravolto. Il defunto regime libico di Gheddafi, che spadroneggiava in quei Paesi, si è lasciato alle spalle un enorme arsenale di armi, di cui si sono serviti i movimenti islamici e separatisti. Per arginarli, in seguito a una richiesta delle autorità di Bamako, e con il via libera dell’Onu (sovente rappresentato da Romano Prodi, incaricato di missioni speciali), la Francia ha mandato i suoi soldati nell’ex colonia. Era il 2013, di gennaio, e ci sono ancora. Le unità speciali dell’Armée sono intervenute per liberare gli ostaggi dell’Hotel Radisson Blu, ieri, insieme a reparti americani. Sono arrivate da Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Nel Mali e nei quattro Paesi vicini, Mauritania, Niger, Ciad e Burkina Faso, ci sono tremilacinquecento soldati francesi. Millecinquecento sono acquartierati nel Mali.
Il presidente socialista ha impegnato la Francia in più operazioni militari di tutti i suoi predecessori alla testa della Quinta repubblica. Ad eccezione di de Gaulle che l’ha fondata nel 1958, durante la guerra d’Algeria, alla quale ha messo però fine nel 1962. La missione africana di Hollande ha come compito di vegliare alla stabilità dei cinque Paesi in cui sono distribuiti i tremilacinquecento soldati, con il pieno accordo delle autorità nazionali. Le quali si sentono minacciate dai movimenti separatisti e islamisti sempre più forti nella regione. Questo dà un senso all’azione dei sequestratori di Bamako. L’eco dell’operazione dovrebbe risvegliare i jihadisti che, riaccendendo la guerriglia, mai del tutto spenta nella regione, costringerebbero i francesi a intervenire di nuovo. Mettendo in evidenza che la sopravvivenza dei vari regimi dipende da un esercito straniero infedele, che bombarda i musulmani in Siria.
La psicologia post coloniale è presente negli attacchi subiti dalla Francia in patria o altrove. I terroristi che hanno colpito Parigi sono cittadini francesi o (belgi) di origine magrebina. Sono cittadini musulmani di una repubblica laica che insegna loro una storia diversa da quella che hanno imparato in famiglia. È vero che la Francia è una delle patrie della libertà, ma nei loro Paesi d’origine è stata una potenza dominatrice. Da un lato gli assassini di Parigi volevano forse integrarsi alla nuova patria, ma la difficoltà, e forse più ancora la memoria ereditata, li ha spinti a propendere per l’odio. La storia appunto ci insegue, in Europa come in Africa. Per esorcizzarla bisogna imparare e insegnare a convivere, nel rispetto dei nostri doveri e diritti. Pensavamo con la fine della guerra fredda che il mondo fosse ormai senza steccati. Era un’illusione.