Dopo Iraq e Siria, sarà l’Egitto il prossimo Stato fallito a cadere preda dei jihadisti? Nello scenario di disintegrazione geopolitica che accompagna la guerra al terrorismo in Nordafrica, Levante e Medio Oriente, la tragedia del volo 9268 probabilmente abbattuto da una bomba nei cieli del Sinai conferma che questa non è una domanda retorica.
Il colosso egiziano, grande più di tre volte l’Italia e con oltre 80 milioni di abitanti, ha i piedi d’argilla. E la sua biblica penisola, appendice asiatica sempre sfuggita al dominio del potere centrale, è zona di guerra fra esercito del Cairo e terroristi che gestiscono corposi traffici in simbiosi con i clan beduini. Quale che sia stata la causa che ha provocato la caduta dell’aereo, resta che il Sinai è terra di nessuno. Altre aree dell’Egitto recentemente colpite da attentati terroristici rischiano di diventarlo, se già non lo sono.
Da quando poi, nel novembre 2014, la principale organizzazione jihadista del Nord Sinai, Ansar Bayt al-Maqdis, si è affiliata allo Stato Islamico, ribattezzandosi Provincia del Sinai, lo scontro locale è salito di rango: da problema egiziano – e in parte israeliano, vista l’adiacenza a Gaza e allo Stato ebraico – a questione strategica regionale. Anzi globale, se davvero a colpire sono stati seguaci del “califfo”. Di sicuro, quando il generale-presidente Al Sisi dichiara che il Sinai è sotto il «totale controllo » del suo governo, mente. Ben sapendo di mentire.
Molti in Occidente, dopo che Al Sisi ha spazzato via il governo dei Fratelli musulmani con un golpe sostenuto da vasto consenso popolare, hanno voluto pensare che la liquidazione di un potere legittimo ma islamista fosse il prezzo da pagare per evitare il collasso della storica pietra angolare degli equilibri regionali. Così abbiamo chiuso un occhio quando il nuovo regime ha arrestato decine di migliaia di persone in quanto effettivi o potenziali oppositori, condannandone a morte centinaia dopo processi farsa. Tutto ciò nell’intento di eliminare i Fratelli musulmani, ovvero alcuni milioni di egiziani, dotati da quasi un secolo di un profondo radicamento sociale. Trattandoli alla stregua di terroristi e massacrandone a man salva diverse migliaia, il nuovo regime ha contribuito a spingerne più di qualcuno nelle braccia dei jihadisti.
Quanto agli egiziani, hanno ormai abbandonato ogni illusione politica, tanto da boicottare in massa il recente voto parlamentare, prefabbricato a uso del generale- presidente. Il quale sta serrando i bullo- ni del suo Stato di polizia. Al confronto Mubarak parrebbe un liberale.
I cinici obietteranno che questo è problema degli egiziani, non nostro. A noi interessa la sicurezza, garanzia degli affari. Ma dopo la strage del charter e mentre masse di turisti sono blindate a Sharm el Sheikh per paura di altri attacchi, l’” Egitto sicuro” esiste solo nella testa dei suoi propagandisti. E di qualche agenzia di viaggio.
Evaporati i fugaci entusiasmi per le “primavere arabe”, noi europei siamo tornati, in Egitto e dovunque i regimi ancora sembrano tenere, all’usato apparentemente sicuro. Dopo aver liquidato Saddam e Gheddafi (e averci provato con Assad) ne cerchiamo disperatamente i sosia. Forse ci sfugge la dialettica che connette i regimi di polizia al terrorismo islamista. I primi hanno bisogno di legittimarsi con la lotta al secondo, sicché quando i jihadisti non ci sono se li inventano. I terroristi prosperano al meglio sotto i poteri autoritari e corrotti, che spingono le frange più frustrate della popolazione a cercare rifugio sotto le bandiere nere dell’islam radicale, come nel caso dei beduini del Sinai.
Occidentali e russi, divisi su quasi tutto, in Egitto si ritrovano dalla stessa parte della barricata. Meglio il regime di Al Sisi dei terroristi. Quasi fossero alternativi.
Quando ci accorgeremo che dittature corrotte e terroristi che usano la religione per coprire traffici e orrori sono fratelli siamesi? Fino a che questo circolo vizioso non sarà spezzato, instabilità geopolitica e insicurezza – fomite delle migrazioni verso l’Europa – continueranno a diffondersi. E noi seguiteremo a contare vittime innocenti. In Egitto e non solo.