by redazione | 13 Novembre 2015 11:20
È stato uno sciopero partecipato, sentito e con un’ unica rivendicazione principale: la fine delle politiche di austerità, perché i pensionati e i lavoratori dipendenti in primis, hanno ormai le tasche completamente vuote. Le piazze più note di Atene, quelle di Syntagma e di Omonia, sono state i punti principali in cui pensionati, impiegati, liberi professionisti si sono dati appuntamento.
Il grosso della mobilitazione è arrivato dagli iscritti dalle confederazioni sindacali Adedy e Gsee, che rappresentano il pubblico impiego ed il settore privato. Ma anche il sindacato Pame, del partito comunista Kke, ha fatto sentire la propria voce, chiedendo «un’alleanza popolare per poter veramente cambiare gli equilibri che si sono venuti a creare». E sono scesi massicciamente in piazza anche i professori delle scuole pubbliche, da sempre sottopagati ed in carenza di organico. «Parlare al governo perché, finalmente, a Bruxelles intendano» è stata l’intenzione di moltissimi partecipanti alla mobilitazione. Come annunciato, hanno manifestato anche molti deputati e membri del gruppo dirigente di Syriza, mentre il nuovo segretario del partito Panajotis Rigas ha dichiarato che si tratta di un messaggio il quale deve essere compreso dai rappresentanti delle istituzioni creditrici. I greci non vogliono ulteriori aumenti dell’iva, non possono sopportare altri feroci tagli alle pensioni, non accettano di lavorare in nero o sottopagati, sottostando ad ogni richiesta dei datori di lavoro, senza garanzie. Ed è per questo che ieri hanno incrociato le braccia. Ma sanno anche che, oggi come nel gennaio e nel settembre scorso, quando sono andati a votare, l’unica forza realisticamente in grado di battersi per portare avanti queste istanze, continua ad essere Syriza.
Con lo sciopero di ieri, indirettamente, si è voluto dire «no» anche agli scenari ed alle aspirazioni neanche tanto celate di chi, a Bruxelles, vorrebbe sostituire, appena possibile, l’attuale governo con un esecutivo «di larghe intese» o dalla formula affine, per continuare ad applicare senza nessuna resistenza le ricette di tecnocrati e neoliberisti. «La legge è la ragione del lavoratore», era scritto su uno degli striscioni della mobilitazione, accanto ad un feretro simbolico «dove giacciono gli artigiani ed i liberi professionisti». Proprio quelle categorie che non sono stati capaci di difendere i governi di centrodestra, che tanto avevano pubblicizzato la «success story» dell’ipotetica rinascita economica della Grecia. Una storia rimasta, ovviamente, solo nell’immaginazione di qualche stratega della comunicazione politica.
Non è mancato qualche scontro sporadico, tra manifestanti e polizia, vicino piazza Syntagma: dei giovani ha lanciato una molotov contro i poliziotti, che hanno risposto con i lacrimogeni. Niente a che vedere con l’atteggiamento duro ed ostile di gran parte delle forze dell’ordine, nelle decine di mobilitazioni organizzate dal 2010 sino alla fine del 2014. Al museo Archeologico Centrale della capitale greca si sono dati appuntamento anche gli esponenti di Unità Popolare– tra cui l’ex ministro Panajotis Lafazanis e la ex presidente del parlamento, Zoi Konstantopoulou– per ribadire che «con i memorandum, di ieri e di oggi, non di va da nessuna parte». La questione principale, dal punto di vista politico, ovviamente, è se Syriza sarà in grado di dare una risposta marcatamente diversa rispetto agli esecutivi del passato.
Non solo respingendo le richieste più estreme ed irricevibili delle istituzioni creditrici, ma cercando di imporre parte della sua piattaforma programmatica. Il nuovo problema, ora, è costituito da 750.000 famiglie in debito con l’ente delle’energia elettrica Dei, che, secondo la stampa, minaccia di lasciarle senza corrente. In tutto, le somme dovute superano i due miliardi e mezzo di euro, ed è chiaro che il governo Tsipras si dovrà impegnare a trovare una soluzione. Per proteggere, anche in questo caso (come per i cittadini che sono in arretrato con il mutuo e rischiano di perdere la prima casa) chi non riesce a pagare perché non ha più un soldo da parte.
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