BARCELLONA. La replica dello Stato alla sfida catalana arriva a tempo di record. Appena poche ore dopo il Consiglio dei ministri straordinario convocato da Mariano Rajoy alla Moncloa, il Tribunale costituzionale – con una tempistica che solleva dubbi sulla divisione dei poteri – decreta all’unanimità la sospensione della risoluzione approvata dal Parlament per intraprendere il cammino verso l’indipendenza. Ma nelle ore della massima tensione Madrid-Barcellona, gli unici a manifestare sulla Plaça Sant Jaume, davanti alla sede del governo regionale, sono i dipendenti pubblici che chiedono il rimborso della tredicesima mensilità soppressa nel 2012. I tagli e l’austerità preoccupano più del conflitto politico. Neppure un filo di vento sulla piazza che è il salotto buono del Barri Gòtic: sù in alto, nei due pennoni all’ombra della cupola piastrellata in giallo e azzurro, è difficile distinguere le bandiere afflosciate che sormontano la facciata rinascimentale del Palau de la Generalitat. Però niente paura, sono ancora loro, la “rojigualda” spagnola e la “senyera”, simbolo ufficiale dell’autonomia regionale catalana. Il sogno di uno “Stato indipendente sotto forma di Repubblica” resta per il momento un miraggio. Dentro, nelle antiche sale dell’edificio di origine medioevale, Artur Mas si gioca alla disperata le ultime carte per ottenere la riconferma alla guida della Regione ribelle: tratta, proprio lui che è stato l’artefice della politica ultraliberista degli ultimi anni, con la Cup, l’estrema sinistra antisistema e anti-euro, alla ricerca di un complicatissimo compromesso. Sono le due anime in apparenza inconciliabili di un movimento separatista accomunato solo dall’impulso di “desconnexió”, la voglia di staccare la spina, di rompere con la Spagna.
Che riesca o no a passare oggi al vaglio del secondo voto parlamentare (gli basterebbe la maggioranza semplice, ma non è affatto garantita), Mas è comunque, come presidente ad interim, uno dei politici in testa alla lista dei dirigenti finiti nel mirino del Tribunale costituzionale e minacciati di inabilitazione se porteranno a compimento i nove punti del programma indicato nella mozione di cui è stata proclamata la “sospensione cautelare”. Insieme a lui, la presidente del Parlamento regionale Carme Forcadell, i componenti dell’ufficio di presidenza e gli assessori ancora in carica per il disbrigo degli affari correnti. Sono ventuno nomi: come chiedeva il governo, la Corte ha deciso di informare tutti, personalmente, delle sanzioni alle quali andrebbero incontro. Qualunque violazione del dettato dell’Alta Corte, e in particolare la presentazione dei progetti di legge che dovrebbero servire a creare le strutture del nuovo ipotetico Stato indipendente (dalla previdenza sociale al fisco catalano) potrebbe configurare il reato di “disobbedienza”. E se le autorità catalane dovessero ignorare il diktat dei giudici, la parola passerebbe alla procura della Audiencia Nacional di Madrid, che potrebbe agire sul piano penale. La sensazione è tuttavia che il braccio di ferro possa andare avanti per settimane, per lo meno fino alle legislative del 20 dicembre. «Vogliono distruggere la democrazia, non lo consentirò», diceva ieri Rajoy. Il fatto è che nulla assicura che, dopo Natale, sia ancora lui il premier.