Come molti eventi significativi, anche questo non è cresciuto nell’ombra: semplicemente i governi non vedevano quello che stava prendendo forma di fronte a loro. L’Is ci ha detto esattamente cosa voleva fare e poi l’ha fatto: una cospirazione segreta in bella vista.
L’Is ha sfaccettature religiose, psicologiche e tecnologiche, ma per certi aspetti fondamentali è un movimento anti-coloniale che prende come riferimento la concezione del potere dell’islam precoloniale: uno Stato islamico, un califfato sunnita. Anche se riuscissimo a schiacciare l’Is, questa idea del ”califfato” sopravviverà, e ritornerà.
La storia dell’Is ci insegna la stessa lezione che ci insegnano gli altri fallimenti dell’America in Medio Oriente nell’ultimo decennio: i tentativi degli Stati Uniti o dei ribelli islamisti di rovesciare regimi autoritari creano vuoti di potere. Questo vuoto viene riempito da estremisti se gli Stati Uniti e i loro alleati non riescono a costruire forze locali solide. Quando gli Stati Uniti creano delle forze locali, devono perseverare: se abbandoniamo gli sforzi, come abbiamo fatto in Iraq nel 2011, apriamo la porta al caos.
LE RADICI IRACHENE DELL’IS
La storia di come nacquero gli antesignani dell’Is in Iraq è in gran parte la storia di una recluta di Al Qaeda: Abu Mus‘ab Al Zarqawi. Al Zarqawi si fece un nome sfidando i maggiorenti di al Qaeda. Mentre i leader di Al Qaeda pianificavano meticolose operazioni dall’alto, già dal 2002 Al Zarqawi, convinto che gli americani avrebbero invaso l’Iraq, cominciò a costruirsi una base nel Paese; quando, un anno più tardi, l’invasione ci fu davvero, si alleò con quello che restava della rete di intelligence di Saddam Hussein. A lungo la strategia di Al Zarqawi venne sottovalutata: ancora alla fine del 2003 gli Stati Uniti negavano che in Iraq fosse in corso una ribellione armata.
Al Zarqawi fu ucciso da un raid aereo americano nel giugno del 2006, ma i suoi seguaci andarono avanti e poco dopo proclamarono un loro Stato, lo Stato islamico dell’Iraq, senza chiedere il parere dei capi di Al Qaeda. Nello stesso tempo la guerra settaria scatenata da Al Zarqawi contro gli sciiti si rivelava fin troppo efficace: ogni mattina a Bagdad venivano ritrovati 50 cadaveri o più.
Per fermare la crisi, il presidente americano George W. Bush sposò l’aumento di truppe proposto dal generale David Petraeus. La contro-insurrezione dei leader tribali sunniti già in corso fu battezzata il ”Risveglio” e ricevette finanziamenti e attenzione dagli americani: combattè il movimento creato da Al Zarqawi fino a quando nel 2009 non lo ebbe quasi ucciso. Ma non del tutto. Qualche tizzone dello Stato islamico ancora covava sotto la cenere: la fiamma fu alimentata nelle carceri irachene gestite dagli americani, come Camp Bucca, dove detenuti islamisti sunniti si mescolarono con ex esponenti del Baath, il partito di Saddam, e il nucleo di un movimento di rinascita prese forma.
Negli anni successivi, quelli del potere del premier sciita Al Maliki, lo Stato islamico portò avanti un’implacabile campagna di omicidi contro i leader tribali sunniti. Tra il 2009 e il 2013, lo Stato islamico uccise 1.345 esponenti del Risveglio.
La campagna di omicidi indebolì la resistenza sunnita, facilitando la presa di Mosul da parte dell’Is nel 2014. Contribuì anche il fatto l’Is aveva usato le prigioni irachene come campi di addestramento: un diplomato di queste carceri trasformate in scuole jihadiste, Abu Bakr Al Baghdadi, è l’attuale leader dell’Is.
LE RADICI SIRIANE DELL’IS
Mentre in Iraq l’Is è cresciuto in modo organico, la sua presenza in Siria sembra più un caso di innesto.
Le potenze regionali – Turchia, Iran, Arabia Saudita, Qatar – hanno agito in modo assolutamente sconsiderato, facendo della Siria un campo di battaglia per le loro guerre per procura. Al contempo, la strategia statunitense in Siria è stata così fiacca che in questo momento Washington appare un partner di secondo piano di fronte alla Russia che sta assumendo un ruolo decisivo nella lotta contro l’Is.
Diversi fattori hanno contribuito a rendere questa rivoluzione particolarmente disorganizzata . Il primo è che si trattava realmente di un movimento dal basso, dove i giovani si riunivano in ogni moschea per difendere il loro quartiere. I Fratelli musulmani, devastati da Hafez al-Assad nel 1982, non avevano la disciplina e l’organizzazione che avrebbe potuto contribuire a saldare un’opposizione forte. I moderati erano debolissimi. Per via della disorganizzazione dell’opposizione e della natura settaria della società siriana, la guerra civile dopo il 2011 si è fatta più feroce. Inevitabilmente, l’opposizione è diventata più sunnita e pro-jihadista.
L’Is in Siria ha giocato un ruolo di disturbo. Si è trasferito a Raqqa e ha usato la città come una sorta di base logistica per le operazioni in Iraq. Le fortune di Raqqa sono dovute anche al fatto che l’aviazione di Assad, che ha raso al suolo ogni altra area sotto il controllodei ribelli, non l’ha bombardata.
Non serve avere inclinazioni per la dietrologia per capire perché Assad ha consentito all’Is di mettere radici: aveva bisogno di una minaccia che dimostrasse perché era importante che il suo regime sopravvivesse. Aveva bisogno di dimostrare che la Siria aveva un volto peggiore del suo: quello di Abu Bakr Al Baghdadi, il leader dell’Is.
QUAL È LA STRADA PER USCIRE DAL DISA-STRO SIRIANO?
Sono arrivato alla conclusione che questa nazione frammentata potrà essere gradualmente stabilizzata solo se gli Stati Uniti e i loro alleati si impegneranno davvero a costruire una nuova forza siriana che possa aiutare a riempire il vuoto del dopo-Assad.
Le tensioni fra l’Is e Al Nusra oggi sono forti quasi come lo erano quelle fra Al Zarqawi e Bin Laden: gli Stati Uniti e i loro alleati stanno lavorando per far crescere questa spaccatura e per arrivare con il tempo a una diminuzione del potere dei jihadisti in Siria.
A nord di Raqqa oggi ci sono i curdi siriani, che ricevono armi e supporto aereo dall’America. Se la pressione sull’Is si intensificherà, Al Nusra dovrà decidere se andare in aiuto di quelli che considera apostati o se lasciare che vengano colpiti: qualunque decisione prenda, ne soffrirà agli occhi dei suoi seguaci.
Gli Stati Uniti si sono creati nemici che non esistevano prima del 2003: hanno fatto crescere un livello di sfiducia tale che oggi in Medio Oriente molti vedono in Putin una possibile soluzione. L’America dovrebbe prendere di mira Al Nusra e l’Is alla stessa maniera? La prudenza dice che la lotta all’Is dovrebbe essere una priorità. Distruggere l’Is interromperebbe il momento positivo per le forze estremiste in generale. Il messaggio da inviare ad Al Nusra dovrebbe essere che cecare di portare il terrore fuori dalla Siria porterebbe ad attacchi devastanti da parte degli Usa e dei loro alleati.
• La speranza migliore per la sopravvivenza della Siria è una soluzione politica negoziata congiuntamente da Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita, che avvii la transizione verso un nuovo Governo post-Assad.
• Ma questa soluzione politica sarà impossibile senza un’opposizione forte sostenuta dagli Usa, che possa fondersi con gli elementi ”accettabili” dell’esercito siriano per gestire la transizione.
• Questo processo di transizione sarà favorito dalla creazione di zone sicure nel Nord e nel Sud del Paese, dove indirizzare l’assistenza sanitaria, offrire un luogo sicuro per il ritorno dei profughi e consentire la riscoperta del compromesso politico.
• Se non si riuscirà a fare queste cose, il risultato sarà una continua crescita dell’Is e di altri gruppi estremisti, e la trasformazione definitiva di una Siria spaccata in uno Stato allo sbando e un rifugio sicuro per i terroristi.
• Se Assad resterà al potere la forza dell’Is in Siria continuerà a crescere.
È per questo che una campagna contro l’Is che non includa l’obbiettivo di dare una nuova guida alla Siria è poco lungimirante. Ma i timori che un tracollo incontrollato del regime lasci spazio a signori della guerra e terroristi sono giustificati.
Per il momento la Siria offre una lezione cupa: politiche confuse da parte degli Stati Uniti possono produrre un risultato altrettanto disastroso di un intervento militare.
( c) 2015 The Atlantic Media Co., as first published on theatlantic. com.
( Traduzione di Fabio Galimberti)