L’estrazione e la vendita dell’oro nero è l’elemento fondamentale per far funzionare il Califfato 40 mila barili al giorno fruttano ai jihadisti 500 milioni l’anno. Per questo, dopo i pozzi, Washington e Mosca hanno iniziato a colpire anche i camion-cisterna che portano benzina. Per svuotare il canale di finanziamento dell’Is
SE è guerra, lo Stato Islamico va colpito dove fa più male. Cioè nella cassa.
Dunque, bombe sulla benzina dei jihadisti. Da domenica, il comando strategico Usa ha alzato il livello della campagna aerea contro il Califfato, allargando i bombardamenti dalle infrastrutture petrolifere alle autobotti che lo distribuiscono, colpite oggi dai caccia russi. Una scommessa politicamente e psicologicamente azzardata, che ha l’obiettivo di svuotare il più potente canale di finanziamento del regime di Al Baghdadi, ma che può avere conseguenze non immediatamente prevedibili sulla popolazione delle aree occupate. Il bollettino ufficiale parla di 116 camion distrutti, una cifra cospicua, anche se non decisiva per quello che è il pilastro del sistema petrolifero del Califfato. Più importante, probabilmente, per sconvolgere il business dei jihadisti, è l’aspetto psicologico: l’annuncio che l’impunità è finita e qualsiasi camion fermo ai giacimenti o diretto alle raffinerie può essere attaccato.
Il petrolio è stato, fin dall’inizio, l’elemento fondamentale per far funzionare il Califfato, dando ad Al Baghdadi e ai suoi uomini una fonte indipendente di finanziamento della loro amministrazione. Non è l’unica fonte di soldi. Il tesoro principale dei jihadisti è quello che hanno trovato nelle banche di Mosul e degli altri territori occupati. L’intelligence americana valuta i fondi nelle casseforti delle banche fra 500 milioni e un miliardo di dollari. Poi ci sono gli introiti del traffico di schiave, di reperti archeologici e di ostaggi. Più i finanziamenti diretti in arrivo dai paesi del Golfo, valutati circa 40 milioni di dollari. Ma solo il petrolio assicura un flusso costante e sempre nuovo di soldi.
Deir al-Zour, la regione petrolifera dell’Est siriano ai confini dell’Iraq, ha una potenzialità produttiva di 400 mila barili di greggio al giorno, mentre altri 100 mila barili potevano arrivare dal nord iracheno, nell’area di Mosul, presto occupato dagli uomini di Al Baghdadi. Briciole, rispetto ai migliori giacimenti iracheni, quelli nell’area di Bassora, nel sud, ad esempio, capaci di pompare milioni di barili. Ma i jihadisti non avevano bisogno di pensare in grande. Del resto, non avrebbero mai avuto le capacità tecniche per estrarre mezzo milione di barili. All’inizio, sono probabilmente riusciti a pompare fino a 50 mila barili al giorno in Siria, soprattutto dai due campi più importanti, al Tanak e al Omar e, al massimo, altri 30 mila in Iraq. Buona parte di questo greggio veniva avviato, con mezzi di fortuna, asini compresi, verso la Turchia, al terminale petrolifero di Ceyhan, dove veniva mischiato con il greggio proveniente da fonti legittime. E’ quanto ha fatto per anni il regime di Saddam. Con un prezzo di mercato di 100 dollari a barile, i jihadisti potevano spuntare 40 dollari per il loro greggio, sul mercato nero. Nei momenti migliori, il traffico clandestino ha, probabilmente, portato nelle casse del Califfato fino a 3 milioni di dollari al giorno.
Poi, l’implosione del mercato del petrolio e la guerra hanno ridimensionato queste cifre. Con il crollo del prezzo del barile a poco più di 40 dollari, il greggio jihadista difficilmente può spuntare più di 10-20 dollari sul mercato nero. Con- temporaneamente, i bombardamenti americani e le difficoltà di manutenzione hanno severamente intaccato le potenzialità produttive. Gli esperti valutano che la produzione del Califfato si aggiri oggi sui 40 mila barili, il grosso di origine siriana. E che il canale delle esportazioni si sia fortemente ridotto. Ma, nelle peculiari condizioni politico-militari di quell’area della Mesopotamia, questo ha un’importanza relativa. Di fatto, l’Is può vendere il suo greggio, in condizioni di monopolio, nella regione che controlla, ma anche ai suoi nemici: il regime di Assad, i ribelli anti-Assad della Siria del nord, financo i curdi a est di Mosul. Essendo il petrolio più disponibile, spesso l’unico, nella regione, il prezzo può essere fuori mercato: fino a 40 dollari a barile – appena sotto il prezzo dei mercati internazionali – per il greggio migliore di al Tanak e al Omar. Gli esperti calcolano che questo flusso porti oggi l’equivalente di un milione, un milione e mezzo di dollari al giorno nelle casse del Califfato. In prospettiva, un tesoro di 4-500 milioni di dollari l’anno. Il comando Usa spera ora di ridurre rapidamente questo tesoro ad un quarto, da 40 a 10 milioni di dollari al mese.
L’Is gestisce, però, solo in parte il traffico. I jihadisti hanno il controllo diretto dei giacimenti e quello, diretto o indiretto, di alcune delle maggiori raffinerie. Ma il trasporto del greggio verso queste raffinerie e le molte piccole e piccolissime, quasi casalinghe, è assicurato da centinaia di operatori indipendenti. Chi ha potuto girare nelle aree controllate dall’Is dice che, fuori dai giacimenti, ci sono code fino a 6 chilometri di camion che aspettano di poter riempire le loro cisterne. Bombardandole, gli americani mettono in crisi un ingranaggio cruciale del sistema di potere del Califfato e dei suoi rapporti con la popolazione civile. Gli studiosi sottolineano che lo Stato Islamico, quando vuole impadronirsi di un’area, usa una tecnica precisa: distrugge le strutture e le istituzioni preesistenti, crea il caos, per presentarsi, poi, come garanzia di ordine e sicurezza, quando la vittoria militare è arrivata. In questo modo si guadagna una qualche forma di consenso nella popolazione. Sconvolgere i rifornimenti di benzina, in un’area in cui quasi tutto funziona con generatori a petrolio, significa, dunque, far saltare il tassello cruciale del nuovo ordine. Quasi una forma di assedio che punta a far traballare il consenso dei jihadisti, nel momento in cui il regime incontra le prime difficoltà. Esperti come Olivier Roy sottolineano, infatti, che l’Is ha praticamente esaurito lo spazio di espansione territoriale. Inoltre, sta, probabilmente, finendo di svuotare le casse delle banche e vede restringersi sempre più gli incassi facili del petrolio.