Acqua, sprechi, guerre. Invettiva per la Terra

Acqua, sprechi, guerre. Invettiva per la Terra

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Maledetti. Siano maledetti gli uomini dissennati, famelici e ciechi che hanno assassinato fino all’ultimo baiji , il delfino bianco dello Yangtze. Si chiamava Qiqi e per venti milioni di anni lui e i suoi antenati avevano vissuto lì, nelle acque del Fiume Lungo che italiani e spagnoli chiamano Fiume Azzurro. E i poeti li avevano cantati per secoli vedendoli, per la dolcezza e l’eleganza, come creature femminili: le Dee dello Yangtze.
Sono estinte, quelle Dee. Uccise da quattordici miliardi di tonnellate di rifiuti dell’uomo e ventisei miliardi di veleni industriali che ogni anno, nonostante il fiume regali ai cinesi oltre un terzo dell’acqua potabile, sono scaricati lungo il suo percorso. Sapevano muoversi anche nelle acque più torbide, quelle Dee. Le guidava una specie di sonar. Ma nulla poteva, coi fanghi tossici.
« Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta », scrisse san Francesco nel «Cantico delle creature». E così dovrebbe essere. Sono tanti, al contrario, gli uomini che vanno maledetti per avere avvelenato quel dono prezioso. Come i responsabili della Exxon Valdez, che perdendo il carico incatramarono mille miglia di costa in Alaska, e quelli delle altre 46 petroliere o piattaforme di pompaggio che negli ultimi trent’anni han causato i più paurosi sversamenti di petrolio nelle acque del mondo.
«Incidenti», dicono. E per «incidenti», accusano gli investigatori, sono stati spacciati anche i naufragi di almeno 637 navi cariche di rifiuti tossici affondate senza misteriosamente lanciare il «May Day»: 88, per Legambiente, nel solo Mediterraneo. « Minchia, e u mari nostru ?», chiede incerto in un’intercettazione un boss della ‘ndrangheta. « Chi ti ni futti! », dice l’altro, « Con tutti ‘sti soldi il mare te lo fai ai Caraibi ».
Sono un’immensità, le acque: coprono quasi tre quarti del mondo. Ma quelle dolci sono solo il 2,5%. E di queste i tre quarti sono nei ghiacciai e nelle calotte polari. Resta nei laghi, nei fiumi, nelle falde e nei sistemi biologici, per tutti noi e le piante e la vita animale, solo una quota piccolissima. Per la stragrande maggioranza, fino al 90% nei Paesi più poveri, usata nell’agricoltura. Ne avevamo 17 mila litri pro capite, nel 1950: siamo scesi sotto i 7 mila.
E sia maledetto l’abuso impazzito della nostra sorgente di vita. Abuso che ha cancellato in Russia il lago d’Aral, il quarto al mondo, ingoiando il peschereccio di Kalyeg Abzamy: «Pescavo due tonnellate al giorno, ora è insabbiato nel deserto». Ha prosciugato in Grecia il Koroneia, vicino a Salonicco, che aveva quasi la superficie del lago di Lugano e oggi si può a volte passare a piedi. Ha portato all’agonia in Africa il lago Chad, l’unica fonte di 22 milioni di persone che mezzo secolo fa era 67 volte più grande del Garda e oggi è poco più che il triplo della laguna di Venezia. Ha fatto sparire dalle mappe della Cina 28.000 corsi d’acqua e 243 laghi riducendo il vasto e nobile Poyang a una pozzanghera e costringendo gli elicotteri a levarsi in volo per buttar cibo agli uccelli migratori…
E più ancora sia maledetto chi spreca l’acqua potabile, come in Italia dove gli acquedotti perdono il 39% di quanto portano. Quella che si può bere rappresenta solo lo 0,008% dell’acqua del pianeta e non è ancora alla portata, accusa l’Unicef, di quasi 750 milioni di persone. Moltissime in Paesi pieni di milionari come la Cina o ricchissimi di acqua come il Brasile che possiede un nono dell’acqua dolce della Terra ma nel 2015, a causa della siccità, ha dovuto perfino cancellare il Carnevale in vari stati del Sur.
Non è «equa», la distribuzione dell’acqua. La natura ne ha regalato tantissima a qualcuno, pochissima ad altri. E mentre il mercato delle acque minerali marcia verso i 195 miliardi di dollari l’anno, miliardi di persone hanno sete. Un cittadino medio italiano consuma 19 volte più acqua d’un africano del Sahel, un americano 37. Possono poi stupirsi, le dieci gigantesche multinazionali dell’acqua, se in Bolivia scoppiano rivolte sanguinose all’idea di pagare un allacciamento lo stipendio di sei mesi?
Il Pacific Institute californiano ha messo on-line i «Water conflict», le guerre per l’acqua, della storia dell’uomo. Sono state, da quando in Mesopotamia il re di Lagash Eannatum, deviò il corso delle acque per costringere alla resa la vicina Umma, 343: trecentoquarantatré. Le più terribili però, se i pazzi non ritroveranno la ragione, saranno quelle di domani.
Gian Antonio Stella


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