Il Papa apre la Porta Santa a Bangui “Deponete le armi, vinca l’amore”

Il Papa apre la Porta Santa a Bangui “Deponete le armi, vinca l’amore”

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 BANGUI. Blindati bianchi e marcantoni neri, armati di tutto punto. E ai lati una folla indistinta. Ma festosa, tenuta a fatica, che urla: «Papa, Papa!». Per un giorno Bangui, da ultima periferia e capitale del Paese più povero dell’Africa, diventa «capitale spirituale del mondo». Parola di Francesco. Nella Cattedrale del Centrafrica sconvolto dalla guerra civile, un Papa coraggioso che non ha deflettuto un attimo dall’intenzione dichiarata di venire qui, allarga le braccia e pronuncia la suggestiva formula di inizio Giubileo: «Aprite le porte di giustizia». È la prima volta che un Pontefice non battezza l’Anno Santo a Roma, centro della cristianità.
Per le strade di Bangui polvere e caschi blu. Mitragliatrici pesanti e lanciarazzi in spalla. Gli uomini della sicurezza vaticana sono attentissimi. La tensione delle forze che devono proteggere Jorge Bergoglio in un Paese diviso anche da odi religiosi, soprattutto dopo gli attentati di Parigi, è palpabile. Francesco non rinuncia a usare la papamobile scoperta. Per cinque chilometri lo fa, per altri quattro va a macchina chiusa.
«L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra che soffre da anni per l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Tutti noi chiediamo misericordia, riconciliazione, perdono: per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana e per tutti i Paesi. Chiediamo pace, amore e perdono tutti insieme, con questa preghiera cominciamo l’Anno Santo in questa capitale spirituale del mondo oggi».
Durante la liturgia il Papa si alza, lascia l’altare, entra nella navata dove in prima fila c’è l’imam musulmano di Bangui. Scambia con lui l’abbraccio della pace. Lo stesso fa con il rappresentante degli evangelici. Nell’omelia appena pronunciata ha detto: «Una delle esigenze essenziali della vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine». E ancora: «Lancio un appello a tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo: deponete questi strumenti di morte. Armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace».
Si torna fuori. Francesco è stretto dagli uomini della Gendarmeria che, con discrezione, indossano giubbotti antiproiettile. Visita il campo profughi di St. Sauveur. È accolto con grande calore. Dicono le suore che lo accarezzano con lo sguardo: «Qui tutti ci hanno dimenticato, ogni tanto parlano di noi, ma solo il Papa si è ricordato davvero ed è venuto a trovarci». Poi Francesco si concede un fuori programma: va in un ospedale di bambini e porta uno scatolone zeppo di medicinali. Con i giovani improvvisa un dialogo. «Resistete. Non fuggite: non è una soluzione. Fate come l’albero di banano che sempre cresce, sempre dà i frutti con tanta energia, è resistente. E io penso che questa sia la strada proposta in questo momento di divisioni: la strada della resistenza. Diceva un vostro amico che alcuni di voi vogliono andarsene. Ma fuggire alle sfide della vita mai è una soluzione, è necessario resistere, avere il coraggio della resistenza, della lotta per il bene. Chi fugge non ha il coraggio di dare vita».
Bergoglio mette oggi la Repubblica Centrafricana al centro dell’attenzione mondiale. Lo fa anche con il suo discorso davanti al Corpo diplomatico e al Capo di Stato di transizione, la signora Catherine Samba-Panza, al Palais de la Renaissance. La Presidente coglie la forza delle parole del Pontefice, la sua «lezione di coraggio e di determinazione che dovrebbe insegnare» qualcosa anche alla politica e alle istituzioni. Gli riconosce il coraggio di aver mantenuto la visita e, da parte sua, recita un inedito “mea culpa” per le inadempienze dei responsabili e per tutti coloro che hanno insanguinato il Paese. «Con abomini – dice – commessi in nome della religione e da persone che si definiscono credenti».
Francesco tornerà in Italia oggi pomeriggio. Ma prima di partire, qui, altri due momenti forti: l’incontro con la comunità musulmana nella Moschea di Koudoukou, nella capitale, e la messa finale nello Stadio. Tutta l’Africa lo osserva.


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