ROMA. «L’ora-lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione», la butta lì il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. «Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento la retribuzione oraria». Ma è subito bufera. «Basta scherzare sul lavoro », tuona a stretto giro Susanna Camusso, segretaria Cgil. «L’orario è fondamentale per salvaguardare la condizione dei lavoratori, specie di chi sta nelle catene di montaggio, fa la raccolta nelle campagne, le infermiere negli ospedali». Ancora più duro il comunicato del sindacato di sinistra: «Poletti ha deciso di rottamare il contratto nazionale». Reagisce pure il numero uno della Uil, Carmelo Barbagallo: «Questo è liberismo sfrenato, spacciato per modernità. E in ogni caso, un ministro del Lavoro non può pensare di affrontare temi del genere con annunci spot».
La temperatura dunque si alza, benché l’uscita di Poletti non sia nuova («posizione nota », specifica in serata il ministero). E più che una gaffe (come la frase di due giorni fa sul laurearsi in fretta anche con voto basso) faccia pensare a una provocazione. Il ministro lo considera un «tema culturale su cui lavorare» e lo spiega così, parlando a un convegno alla Luiss sul Jobs act, organizzato dall’Aiel (Associazione italiana degli economisti del lavoro): «Il lavoro oggi è un po’ meno cessione di energia meccanica ad ore e sempre più risultato. Per molti anni i ritmi biologici e di vita si sono piegati agli orari fissi, ma con la tecnologia possiamo guadagnare qualche metro di libertà». Come a dire che i parametri da considerare per la busta paga non possono limitarsi alle sole ore effettuate, ma misurare pure «l’apporto dell’opera ». A questo scopo, sarebbero d’aiuto «forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa». E saranno «economisti e giuslavoristi a immaginare il futuro su questo tema».
Ma «la maggior parte delle persone fa un lavoro faticoso», gli replica la Camusso. In questi casi – è il ragionamento – la durata oraria diventa anche tutela. «Non capisco perché le forme di partecipazione devono essere sostitutive degli strumenti di regolazione della prestazione dei lavoratori», insiste la leader Cgil. «Altrimenti si finisce come col sistema dei voucher: teoricamente dovrebbe essere orario, ma invece scopriamo che si paga un voucher e si fa tanto nero ». L’altro sospetto lo adombra poi il segretario nazionale della stessa Cgil, Franco Martini: «Il ministro del Lavoro ha deciso di rottamare il contratto nazionale, proprio nel momento in cui il confronto tra Cgil, Cisl e Uil sembra essere partito col piede giusto». Il timore è che la frase di Poletti sia il passe-partout per altro. «Se vi fosse un retro pensiero che punta al superamento dei minimi salariali definiti dai contratti con il salario minimo legale, allora il sindacato si opporrà». Osserva infine Cesare Damiano, presidente commissione Lavoro della Camera: «Se il ministro si riferisce a flessibilità negli orari e nella prestazione, siamo d’accordo. Purché non si torni al concetto di lavoro esclusivamente retribuito senza parametri di riferimento. Altrimenti, perché abbiamo eliminato il lavoro a progetto? Perché il governo prevede, per i non contrattualizzati, un compenso orario minimo?».