by redazione | 11 Ottobre 2015 9:19
Diritto all’abitare. Porta di Roma è un quartiere della periferia nord della Capitale cresciuto attorno allo shopping mall più grande d’Europa. Abitazioni semi-deserte e sfitte acquistate a prezzi stratosferici con la promessa di avere, un giorno, servizi pubblici e metropolitana. Mai arrivati: «Basta appartamenti vuoti. E gli speculatori paghino l’Imu. La crisi è di chi specula». Il racconto nella quarta giornata nazionale «Sfratti zero», numerosi presìdi dell’Unione Inquilini
Porta di Roma è un astronave di centinaia di migliaia di metri cubi di cemento precipitata a ridosso del Grande raccordo anulare. É un corpo compatto che ha inglobato in costruzioni anonime e gigantesche ettari di agro romano. I parcheggi, le rampe, i palazzoni sono una proiezione fisica dell’incubo di James Ballard: attorno allo shopping mall omonimo, il più grande d’Europa con più di 200 negozi tra cui svettano Ikea, Leroy Merlin, supermercati e un cinema multisala, sorge un quartiere con case parzialmente abitate, acquistate a prezzi stratosferici quando l’urbanistica del centro-sinistra di Walter Veltroni e gli affari della giunta Alemanno erano considerate sinonimi del progresso, mentre oggi sono lo scheletro della volontà di potenza dei palazzinari.
Questa periferia racconta il deserto di Roma dove la rendita si fa corpo in una città dove i valori immobiliari sono così alti da essere insostenibili per la maggior parte della popolazione, costretta a trasferirsi nell’immensa periferia metropolitana: Guidonia, Anzio, Ardea, Nettuno e Pomezia. E poi Ladispoli, Cerveteri fino a Civitavecchia. La città-mostro è continuata a crescere a suon di cambi di destinazione d’uso, mentre per ogni giorno lavorativo del 2014 a Roma ci sono stati 13 sfratti eseguiti con la forza pubblica, 47 accessi di ufficiali giudiziari, 38 nuove sentenze di sfratto.
A Porta di Roma, questo mondo lunare, i rappresentanti dell’Unione Inquilini[1] ieri hanno tenuto una conferenza stampa itinerante in occasione della IV giornata nazionale «Sfratti Zero» con decine di manifestazioni in tutto il paese. «Basta case vuote, gli speculatori paghino l’Imu» (la tassa sulla prima casa che il governo vuole abolire) era lo striscione retto, sotto gli ombrelli, dai sindacalisti.
L’occasione ha permesso di raccontare la storia di una città perduta. Il mondo qui si divide in due: dal lato delle case popolari di via di Vigne Nuove le tasse si pagano, dall’altro lato della stessa strada no. «Ci sono molte persone che hanno creduto alla promessa che qui sarebbero arrivati i servizi e la metropolitana – ha detto il segretario romano dell’Unione Inquilini Guido Lanciano – Non c’è assolutamente nulla e i costruttori non pagheranno nemmeno l’Imu, non abbasseranno i prezzi di vendita perché non hanno alcuna intenzione di venderle. Siamo davanti alla crisi degli affari di chi specula– davanti a uno Stato che fa regali alla speculazione. Ricordiamo che chi vive nelle case popolari paga l’Imu».
La crisi verticale della Capitale deriva da una politica urbanistica speculativa che ha negato la mobilità del trasporto pubblico, trasformandola in un’immenso ingorgo permanente. Chi abita nei quartieri fantasma è costretto a prendere l’auto, mentre assiste ai tagli delle linee dell’Atac. Chi è stato espulso dall’area metropolitana percorre fino a cento chilometri andata e ritorno per lavorare. Chi non ha casa, occupa dopo essere stato spinto sempre più fuori dalla città con gli affitti più cari d’Europa. I movimenti sociali che, in questi anni, hanno osato sfidare l’assetto della città sono stati sommersi da sgomberi denunce e arresti[2]. Nell’impero della rendita la repressione è un altro volto del consumo del territorio e dell’emergenza sociale provocata dal caro affitti e dagli sfratti per morosità. Quartieri deserti sorgono come funghi, le case restano vuote.
La tempesta perfetta è confermata dai dati. Per l’Unione Inquilini, nel 2014 le nuove sentenze di sfratto a Roma sono cresciute rispetto al 2013, quando avevano superato per la prima volta la soglia degli 8 mila provvedimenti. Sono 8264. Le richieste di esecuzione con l’ufficiale giudiziario sono 10.263 (+28,67% rispetto al 2013) e le esecuzioni forzate con la forza pubblica sono state 2.726 (con un incremento di quasi il 5% rispetto all’anno scorso).
Il rapporto 2014 sugli sfratti in Italia[3] redatto dall’ufficio centrale di statistica del ministero dell’Interno mostra una realtà feroce: i provvedimenti esecutivi di «rilascio degli immobili» erano in totale 77.278: 3.433 per necessità del locatore, 4.830 per finita locazione e ben 69.015 per morosità o altra causa. La crisi dei redditi è stata devastante: nel periodo preso in esame le richieste di sfratto con ufficiale giudiziario sono state 150.076, gli sfratti eseguiti 36.083. L’incremento più rilevante ha interessato il Molise e la Puglia. Una flessione è stata registrata in Basilicata (-32,3), Sicilia (-23,3) e Emilia Romagna (-11). La regione che ha registrato più provvedimenti di sfratto è stata la Lombardia (14.533) seguita dal Lazio (9.648).
Per porre un freno a questa deriva, l’Unione Inquilini ha proposto di abbassare i prezzi della case almeno del 30%; una nuova politica abitativa volta a incrementare l’offerta pubblica di abitazioni sociali in Italia grazie al recupero del patrimonio demaniale, civile e militare inutilizzato o in disuso valutato 281 miliardi di euro; destinare risorse per il passaggio da casa a casa agli sfrattati e alle 700 mila famiglie collocate nelle graduatorie comunali. La buona notizia di ieri è arrivata da Pisa dove il prefetto ha sospeso gli sfratti dal 9 ottobre al 6 dicembre. In attesa di un giorno migliore.
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