NEW YORK . Accompagnate da proteste, da 3 milioni di firme a una petizione popolare e dagli echi della marcia del 10 ottobre a Berlino di 250mila oppositori, incomincia oggi a Miami il penultimo round di trattative tra Europa e Stati Uniti per il Ttip (Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti), il maxi-trattato commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. L’obiettivo dei negoziati avviati nel 2013? Ridurre o eliminare le barriere — tariffarie e non — che frenano gli scambi, e quindi lo sviluppo economico.
Secondo Cecilia Malmström, il commissario di Bruxelles che guida la delegazione commerciale europea, il Ttip farà salire di 92 miliardi di dollari il Pil della Ue. Il significato del trattato va comunque al di là di questi dati quantitativi perché sarà creata una immensa zona di libero scambio con 800 milioni di persone, controbilanciando così il crescente potere cinese. Proprio per questo il Ttip viene già soprannominato la “Nato dell’economia”. Ma le trattative si preannunciano difficili. Dietro alle barriere commerciali si nascondono interessi corporativi e ambizioni nazionali, differenze culturali e inquietudini sociali che non è facile accantonare: anche perché le liberalizzazioni portano a cambiamenti profondi in termini di delocalizzazione delle imprese e di occupazione.
Gli ostacoli maggiori non sono di natura tariffaria, visto che in media i dazi non superano il 4 per cento, ma riguardano soprattutto i regolamenti su salute, procedure, appalti pubblici, standard di qualità, che rendono più arduo alle imprese americane operare in Europa, e viceversa. Alcuni esempi: i cibi ogm, che gli Usa producono e difendono, mentre in Europa sono considerati pericolosi; i prodotti di origine geografica, dalla feta greca al parmigiano reggiano, che la Ue considera essenziali per una agricoltura di qualità, mentre Washington parla di forma subdola di protezionismo; i servizi finanziari, per i quali gli americani vogliono proteggere la posizione dominate di Wall Street. Non si tratta però di problemi irrisolvibili, dicono gli esperti. E non c’è dubbio che la conclusione positiva all’inizio di ottobre del Tpp, un simile trattato tra 12 paesi dell’area del Pacifico, avrà ripercussioni positive sui negoziati del Ttip. D’altra parte in Europa molti temono che le multinazionali americane possano influenzare l’accordo a tutto svantaggio dei consumatori, dell’ambiente e della sicurezza alimentare nel vecchio continente: ottenendo, ad esempio, di poter vendere cibi geneticamente modificati o carcasse di animali lavate con prodotti chimici.