Tra Usa e Russia la guerra è fatta di parole

Tra Usa e Russia la guerra è fatta di parole

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Quarto giorno di bom­bar­da­menti russi in Siria: nel mirino c’è Raqqa, la “capi­tale” dell’autoproclamato calif­fato. Secondo il Mini­stero della Difesa russo, ieri sono state col­pite 9 posta­zioni dello Stato Isla­mico intorno alla città e sareb­bero stati distrutti depo­siti di car­bu­rante e muni­zioni e equi­pag­gia­mento militare.

In 72 ore, fa sapere Mosca, oltre 60 bom­bar­da­menti hanno signi­fi­ca­ti­va­mente ridotto il poten­ziale mili­tare degli isla­mi­sti e pro­vo­cato «il panico, costrin­gendo 600 mili­ziani stra­nieri a diser­tare e cer­care di fug­gire in Europa».

«Nes­suna bomba con­tro infra­strut­ture civili e edi­fici che avreb­bero potuto con­te­nere civili», ha com­men­tato il Mini­stero della Difesa russo in rispo­sta alla piog­gia di cri­ti­che del fronte occi­den­tale. Che ha dato una ver­sione diversa: in un comu­ni­cato con­giunto Stati uniti, Gran Bre­ta­gna, Tur­chia, Fran­cia, Ger­ma­nia, Ara­bia sau­dita e Qatar hanno accu­sato Mosca di aver avuto come obiet­tivo non i mili­ziani di al-Baghdadi ma le oppo­si­zioni mode­rate al pre­si­dente Assad. E la popo­la­zione civile: il segre­ta­rio alla Difesa bri­tan­nico Fal­lon ha affer­mato, dati dell’intelligence di Lon­dra alla mano, che solo il 5% dei raid ha cen­trato posta­zioni Isis, il resto l’Esercito Libero Siriano e i civili.

Il fronte anti-Assad cerca di scre­di­tare l’operazione mili­tare russa: mai, in un anno di azioni da parte della coa­li­zione gui­data dagli Usa, si era voluto cal­co­lare quanti siriani fos­sero rima­sti uccisi nei bom­bar­da­menti aerei (que­gli stessi civili che quando a pio­vere sono bombe con­si­de­rate “legit­time” ven­gono clas­si­fi­cati come meri “danni col­la­te­rali”). Ora è una prio­rità, con­di­visa anche dalle oppo­si­zioni siriane a Dama­sco: secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, almeno 39 civili tra cui 8 donne e 8 bam­bini sono morti a causa di Mosca negli ultimi 4 giorni, tra Aleppo, Idlib, Hama e Raqqa.

Inter­viene anche al-Jazeera, media qata­riota che un ruolo cen­trale ha avuto nel mano­vrare a livello media­tico le pri­ma­vere arabe e la guerra civile siriana. Ieri ripor­tava di raid russi al con­fine con la Tur­chia, con­tro un ospe­dale. Nes­suna vit­tima. A cor­redo dell’articolo una foto che mostrava del fumo alzarsi da un luogo non pre­ci­sato tra le col­line. Un’altra foto­gra­fia, invece, rac­con­tava un’altra sto­ria: un raid russo al con­fine tra Siria e Tur­chia ci sarebbe stato ma con un tar­get diverso. La noti­zia e l’immagine sono state pub­bli­cate da Iraqi NewsPress Iraq: un lungo con­vo­glio di auto­ci­sterne sarebbe stato col­pito men­tre viag­giava dalla Siria alla Tur­chia. Tra­spor­tava petro­lio di con­trab­bando ven­duto dall’Isis fuori dal paese, tra le prin­ci­pali fonti di finan­zia­mento del gruppo. Se la noti­zia venisse con­fer­mata, ancora una volta nell’occhio del ciclone fini­rebbe Ankara, da tempo accu­sata di soste­nere pale­se­mente il calif­fato, garan­ten­do­gli libertà di movi­mento e acqui­stando sotto banco greggio.

In tale con­te­sto di accuse e smen­tite si gioca il brac­cio di ferro tra Washing­ton e Mosca: la Casa Bianca accusa il Crem­lino di ope­rare senza coor­di­narsi con la coa­li­zione, il Crem­lino risponde di averla avver­tita. Ma al di là dei bat­ti­bec­chi, sul campo la situa­zione appare diversa: men­tre la Rus­sia bom­barda le posta­zioni Isis nei gover­na­to­rati dove Assad man­tiene par­zial­mente il con­trollo, gli Stati uniti pro­se­guono nel col­pire le aree del tutto occu­pate dal calif­fato. Il nemico, di fatto, è lo stesso anche se Obama ieri ha ripe­tuto che il soste­gno alle oppo­si­zioni mode­rate non cesserà.

Venerdì il pre­si­dente Usa defi­niva l’intervento russo «la ricetta per il disa­stro» per­ché Mosca «non distin­gue tra Isis e oppo­si­zioni sun­nite mode­rate». Come se la ricetta finora adot­tata da Washing­ton e dagli alleati del Golfo fosse vin­cente: prima hanno inve­stito su gruppi isla­mi­sti radi­cali per far cadere il pre­si­dente Assad, poi hanno ten­tato di met­tere una pezza lan­ciando un’operazione aerea poco effi­cace (a cui l’Isis si è pre­sto adat­tato) e forag­giando ribelli inca­paci di combattere.

Que­sta è la realtà e Obama, che non è stu­pido, lo sa. Venerdì ha detto che la Siria non tra­sci­nerà gli Usa in uno scon­tro mili­tare con la Rus­sia. E se a parole l’attacca, poi manda Kerry a defi­nire i det­ta­gli della coo­pe­ra­zione mili­tare in Siria con il mini­stro degli Esteri russo Lavrov. Sul campo la coo­pe­ra­zione c’è già: i russi bom­bar­dano dove non lo fanno gli sta­tu­ni­tensi. Non si pestano i piedi, in attesa di defi­nire la miglior tran­si­zione poli­tica per entrambi. A sen­tirli par­lare, Assad è intoc­ca­bile per Putin ed è il primo degli osta­coli per Obama. Alla fine si tro­verà un accordo che non minacci gli inte­ressi delle due super potenze: Mosca vuole un accesso sul Medi­ter­ra­neo e influenza sulla regione; Washing­ton man­te­nere il con­trollo delle alleanze ener­ge­ti­che e mili­tari, senza scon­ten­tare Tel Aviv e Riyadh.



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