BEIRUT . Vladimir Putin ha convocato Bashar el Assad a Mosca per un incontro in cui, oltre alla situazione militare sul terreno, sono state discusse le prospettive di una “soluzione politica” del conflitto. Del primo argomento si sa tutto. Del secondo si può intuire, dai contenuti del colloquio resi pubblici dal Cremlino, che dopo l’intervento armato, Putin intenda aprire la fase 2: il futuro della Siria, la cui definizione, ha detto il leader russo al suo ospite, spetta al popolo siriano. Assad ha concordato che saranno tutte le componenti della società e «non soltanto il partito-guida» a decidere il futuro della Siria.
Tre round di colloqui, di cui uno faccia a faccia, hanno scandito un lungo, inatteso, incontro notturno. Bashar el Assad, alla sua prima visita all’estero da quando è iniziata la rivolta nel marzo 2011, e al suo secondo colloquio diretto con Putin, dopo il primo avvenuto nel 2007, è arrivato a Mosca probabilmente su un aereo da trasporto russo, un Ilyushin non identico ma simile a quello che lo avrebbe poche ore dopo riportato in Siria, a Latakia.
L’incontro di Mosca, in primo luogo, rappresenta un colpo di teatro sulla scena diplomatica del conflitto, una scena che ha molto sonnecchiato, sopraffatta dalla convinzione delle parti in causa di potere risolvere lo scontro con mezzi militari; in secondo luogo, conferma la determinazione di Putin di voler essere protagonista anche quando si aprirà la fase politico-diplomatica per porre fine alla carneficina.
Che tra Putin ed Assad si sia parlato anche della cosiddetta “transizione” dall’attuale regime autoritario ad un regime democratico e del destino personale del raìs , non risulta dalle trascrizioni ufficiali. E’ chiaro, però, che Putin, anche sottolineando che il meeting è avvenuto su sua richiesta, ha voluto evidenziare che Assad non s’è sottratto e non si sottrarrà alla discussione sulla “soluzione politica”.
E’ stato Assad ad aprire i colloqui, esprimendo la sua «immensa gratitudine» alla dirigenza russa per l’intervento militare in corso da tre settimane. Se non fosse stato per voi, ha detto in sostanza, il terrorismo che si sta espandendo nella regione avrebbe inghiottito un’area ancora più vasta. Putin ha chiarito che «risultati positivi sul piano militare » pongono le basi per elaborare «una soluzione politica di lungo periodo basata su un processo che coinvolge tutte le forze politiche, e i gruppi etnici e religiosi».
Assad, a sua volta, non ha rinunciato a ripetere che «il terrorismo rappresenta il vero ostacolo ad ogni accordo politico». Ma ha convenuto sul fatto che «l’azione militare deve essere seguita da passi politici» e, soprattutto, che «l’intera nazione vuole partecipare alle decisioni sul destino dello Stato, e non soltanto il partito dominante». Prospettiva di nuove elezioni aperte a tutti, a conclusione della fase transitoria? Di certo il Cremlino ha voluto subito far sapere, proprio mentre infuriano i bombardamenti e l’esercito siriano, rinfrancato, si lancia in un’offensiva contro i ribelli nel Nord-Ovest della Siria, di aver aperto uno spiraglio alla soluzione politica del conflitto. Telefonate di Putin con il presidente turco, Erdogan e il re Saudita, Salman.
La Turchia, con il premier Davotoglu, ha subito ribadito che Assad, «delegittimato», deve lasciare il potere, un portavoce ha persino ironizzato sull’incontro augurandosi che Assad fosse rimasto a Mosca per sempre. Ma su diversi giornali turchi è circolata l’ipotesi di concedere al raìs sei mesi di tempo. L’Arabia Saudita, che come la Turchia, è uno dei maggiori sponsor dei gruppi armati ribelli, non ha ufficialmente commentato, ma tra le monarchie del Golfo, il Qatar, pur dicendosi pronto ad un’azione militare contro Assad, ha dichiarato di appoggiare una soluzione po-litica. Domani a Vienna, i ministri degli Esteri di Russia, Stati Uniti, Turchia ed Arabia saudita avranno modo di approfondire i rispettivi punti di vista. Che l’allerta terrorismo sia alto, lo ha confermato ieri a Roma il Consiglio supremo di Difesa, riunito alla presenza del presidente Mattarella e di Renzi: «Il rischio è serio soprattutto per il Giubileo».