Sinodo, una lezione di maestria politica

Sinodo, una lezione di maestria politica

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Discer­ni­mento, cioè pro­ce­dere caso per caso, detto in parole sem­plici. Con que­sta parola-guida la Rela­tio finale del Sinodo 2015 rie­sce a navi­gare tra posi­zioni spesso lon­ta­nis­sime, e per que­sto è stata votata, anche nei punti più con­tro­versi, da più dei due terzi dell’assemblea. Cioè a essere appro­vata in tutte le sue parti, cosa che non era suc­cesso nel sinodo straor­di­na­rio del 2014.

Si potrebbe par­lare di un com­pro­messo straor­di­na­rio, di una mira­co­losa qua­dra­tura del cer­chio, visti «i metodi non del tutto bene­voli», come ha detto papa Fran­ce­sco nel discorso con­clu­sivo, dopo le vota­zioni, con cui si sono espresse le opi­nioni diverse. Non so se com­pro­messo è la parola più adatta. Di certo una lezione di mae­stria poli­tica, appli­cata al ter­reno più pro­prio alla Chiesa, quello delle imma­gini, del simbolico.

Che cosa è infatti il discer­ni­mento se non una virtù eser­ci­tata da una mente ben col­ti­vata, ben adde­strata, come è di un gesuita che è stato edu­cato negli eser­cizi messi a punto da Igna­zio di Loyola? Lo ha ricor­dato con qual­che mali­zia, facendo espli­cito rife­ri­mento al gesuita papa Fran­ce­sco, il car­di­nale di Vienna Chri­stoph Schön­born nel brie­fing mat­tu­tino di ieri. Discer­nere vuol dire, in que­sto docu­mento che i padri sino­dali offrono al papa per­ché ne ricavi un suo indi­rizzo, che una volta sta­bi­liti i prin­cipi, biso­gna guar­dare le situa­zioni. Come dice il para­grafo 85 della Rela­tio, il meno votato, ha avuto solo 178 voti favo­re­voli e 80 con­trari, essendo la mag­gio­ranza qua­li­fi­cata neces­sa­ria di 177, su 265 votanti. «I bat­tez­zati che sono divor­ziati e rispo­sati civil­mente devono essere più inte­grati nelle comu­nità cri­stiane nei diversi modi pos­si­bili, evi­tando ogni occa­sione di scan­dalo»: chie­dono i vescovi. Insomma, secondo uno schema a cui papa Fran­ce­sco ci ha abi­tuato, e che la Chiesa nel suo insieme sem­bra inten­zio­nata ad adot­tare, è la realtà che impone un ripen­sa­mento, che invita a valu­tare situa­zione per situazione.

E se si può cer­ta­mente dire che la cura della realtà fa bene, che lo sguardo sul mondo con­tem­po­ra­neo non si nasconde quello che suc­cede e che, come hanno ripe­tuto in que­ste tre set­ti­mane i padri sino­dali, «incon­trarsi e ascol­tarsi è stata un’esperienza che ci ha cam­biato», pure non si pos­sono tacere le durezze rimaste.

Non penso all’atteggiamento verso l’omosessualità in quanto tale, che in effetti non viene affron­tata, se non nella descri­zione della vita fami­liare, e dell’accoglienza e del rispetto alle per­sone. Penso ad alcune affer­ma­zioni con­te­nute nella prima parte della Rela­tio, che non sono state cam­biate. Per esem­pio la «cre­scita della men­ta­lità con­trac­cet­tiva e abor­ti­sta», oppure «una certa visione del fem­mi­ni­smo, che denun­cia la mater­nità come un pre­te­sto per lo sfrut­ta­mento della donna e un osta­colo alla sua piena rea­liz­za­zione». Ma il punto che man­tiene tutta la sua carica aggres­siva, non equi­li­brata da nes­suna ele­mento di realtà, o ricorso al «foro inte­riore», è il tema «ideo­lo­gia del gen­der, che nega la dif­fe­renza e la reci­pro­cità natu­rale di uomo e donna». Una posi­zione che con­ti­nuerà a fomen­tare paure, ango­sce e vere e pro­prie aggres­sioni. Stu­pi­sce, in un testo che si incar­dina sulla mera­vi­gliosa virtù della com­pren­sione e della mise­ri­cor­dia, il per­pe­tuarsi di una costru­zione fantasmatica.

C’è da pen­sare che il com­pro­messo, che intro­duce vere aper­ture nella pra­tica pasto­rale e sicu­ra­mente sarà di con­forto per molti cre­denti, abbia biso­gno di man­te­nere distin­zioni dalla “mon­da­nita” con­tem­po­ra­nea. Un esem­pio di scarso discernimento.



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