ROMA. Dopo la legge di Stabilità saranno scritte le nuove regole della contrattazione. A farlo sarà quasi certamente il governo, senza sindacati e Confindustria. Non era mai successo prima. Il modello contrattuale è sempre stato concordato tra le parti sociali sulla base dei rapporti di forza, delle reciproche convenienze ma anche degli obiettivi condivisi. Oggi, in epoca di deflazione, appare impossibile un punto di contatto. E se — come sembra — la palla passerà all’esecutivo si profila una vera svolta: l’introduzione del salario minimo legale (l’Italia è uno dei pochi paesi europei a non averlo, da quest’anno c’è anche in Germania) che finirà per sostituirsi al contratto nazionale (spina dorsale del nostro modello) e il baricentro contrattuale spostato tutto sul livello aziendale e territoriale per facilitare l’incremento della produttività (la bassa produttività è la malattia che ci portiamo ormai dietro da decenni). È questo che ha in mente il governo.
Per oggi a Milano il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, ha convocato i rappresentanti delle categorie per prendere atto del fallimento sul nascere del confronto con Cgil, Cisl e Uil. Non annuncerà il blocco delle trattative aperte (alimentaristi e chimici) o di quelle in fase di decollo (metalmeccanici) ma dirà che ciascuno potrà muoversi come riterrà più opportuno. Poi renderà pubblica dettagliatamente la linea della Confindustria sulla quale Cgil e Uil (non la Cisl di Annamaria Furlan) hanno proposto di trattare solo dopo i rinnovi dei contratti nell’industria (da qui a fine anno ne scadranno una trentina).
La mossa di Squinzi aprirà ad una situazione di caos contrattuale, senza regole e senza più l’inflazione che per decenni è stata il perno del nostro sistema negoziale. Prevarrà il più forte. Una strada, dunque, a dir poco «in salita », come ha riconosciuto Susanna Camusso proprio ieri a Milano durante i lavori all’Expo del Direttivo della Cgil, ai quali non si è presentato, come annunciato, il leader della Fiom Maurizio Landini che ha contestato duramente la scelta di riunire il parlamentino confederale nella sede dell’esposizione con tanto di visita guidata tra i padiglioni.
Il governo aveva dato tempo alle parti sociali. Si era parlato di tre mesi per riscrivere le regole del gioco sociale, per quanto formalmente non fosse stata fissata una data limite. Aveva sospeso l’attuazione del decreto del Jobs act relativo all’introduzione sperimentale del salario minimo per legge in attesa del negoziato sociale. Ma il negoziato non è mai partito. Abortito prima di iniziare per una pregiudiziale posta dalla Cgil e dalla Uil: prima si rinnovano i contratti poi si apre il confronto sul modello. Tanto che all’ultimo appuntamento tra tecnici alla fine di settembre nella sede della Confindustria si è presentato solo il rappresentante della Cisl.
Da allora più nulla se non una efficace sintesi dello stato dell’arte da parte di Squinzi: «È un dialogo tra sordi». E ieri il presidente degli industriali, parlando all’assemblea di Bergamo, ha fatto praticamente capire cosa si prospetta. L’ha detto in sindacalese ma la traduzione è più o meno questa: «O si apre un tavolo per la definizione di nuove regole contrattuali o Confindustria sarà costretta a considerare superato il modello di rapporti tra le parti ». Fine di un’epoca, come dicono ormai esplicitamente nella sede di Viale dell’Astronomia.
Probabilmente la proposta di Confindustria è stata presentata nel momento meno opportuno: troppo a ridosso dei rinnovi contrattuali delle categorie. L’idea degli industriali è superare il modello ancorato all’inflazione programmata per la semplice ragione che ora siamo a inflazione zero o addirittura negativa. E infatti ai tavoli negoziali (l’hanno già fatto i chimici) gli industriali chiedono indietro i soldi (circa 80 euro) dovuti a un tasso di inflazione che non è stato raggiunto. Non si erano mai visti i datori di lavoro a chiedere indietro gli aumenti concordati con l’accordo precedente. Confindustria propone allora un recupero dell’inflazione a consuntivo, una volta cioè che si è effettivamente determinata.
Di fatto il contratto nazionale diverrebbe alternativo a quello aziendale dove oltreché il salario andrebbe rafforzata la contrattazione per il welfare e la sanità integrativa.