Nel panorama della lotta contro la povertà, per il diritto a una tutela universale contro la disoccupazione e il ricatto del lavoro precario, si tratta di una novità di grande spessore politico. Unire nello stesso percorso le 1600 associazioni antimafia coordinate da Libera e dal Gruppo Abele alle reti della Caritas, senza dimenticare i partiti, le associazioni e i movimenti sociali che sostengono la proposta del reddito minimo, significa creare un fronte unico. La notizia avrebbe potuto diventare una novità politica se si fosse tenuta la manifestazione nazionale contro la povertà e per il reddito originariamente annunciata dalla «coalizione sociale» e da Libera. Le ragioni per cui non è stata organizzata non sono note ufficialmente. Ufficiosamente, si parla di dissidi interni non meglio specificati e idee diverse sull’opportunità di organizzare un corteo a Roma in questo momento. Una situazione di stallo che indebolisce il grande lavoro politico e culturale svolto in questi anni.
Il sentore di una svolta che ha portato a considerare in maniera coordinata un’iniziativa contro la povertà assoluta e un’altra a favore del reddito minimo era stato già avvertito quando la Caritas ha valutato positivamente l’iniziativa del Movimento 5 Stelle sul «reddito di cittadinanza». In realtà si tratta di un reddito minimo che presenta tra l’altro seri rischi di una deriva «workfarista», come del resto tutte le ipotesi di reddito minimo quando non rientrano in una rigorosa politica attiva attenta ai diritti della persona e non inteso come un sussidio ai disoccupati in cambio di un lavoro socialmente utile o una formazione astratta e obbligatoria.
Ad avere creato le condizioni della svolta è stato l’atteggiamento del governo Renzi che nella legge di stabilità ha deciso si stanziare contro la povertà solo 600 milioni di euro nel 2016 che aumenteranno a 1 miliardo nel 2017 e 2018. Si apre inoltre alla possibilità di finanziamento delle fondazioni bancarie. Sono misure esigue, oltre che ambigue, che confondono il pubblico con il privato, la finanza con il welfare, interni a un’impostazione neoliberista.
Le criticità della politica sociale e fiscale del governo sono emerse in tutti i 25 interventi all’assemblea di «Miseria ladra». Don Ciotti ha polemizzato con Renzi sul fatto che il « reddito di dignità» «non è elemosina, ma giustizia sociale», «non è assistenzialismo, ma un investimento sulla speranza». «Le politiche sociali non sono un lusso». Vibrante è stato l’intervento del giurista Stefano Rodotà che dal palco dell’Ambra Jovinelli ha precisato che una misura come il reddito minimo (per non parlare di quello di cittadinanza) è coerente con l’articolo 36 della Costituzione sulla dignità della persona. Questa è l’unica risposta a Renzi che ha definito «incostituzionale» il reddito solo per stigmatizzare, alla sua maniera, la proposta dei Cinque Stelle, opponendola a una visione «lavorista» della Costituzione. Il reddito di cittadinanza è un’erogazione incondizionata di reddito a tutti i residenti, non vincolata alla formazione e al lavoro come accade nel caso del reddito minimo.
«Renzi dice che Bruxelles non deve stabilire le nostre scelte economiche — ha proseguito Rodotà — È vero, ma se Renzi avesse detto lo stesso per la Grecia ridotta a un protettorato e costretta a firmare il memorandum l’Europa oggi sarebbe diversa». Rodotà ha infine sollecitato a prepararsi per la battaglia referendaria sul referendum costituzionale. Landini ha definito la legge di stabilità «un’occasione mancata» per le politiche di crescita, mentre il taglio dell’Imu-Tasi «aumenta le diseguaglianze» «Renzi introduce l’idea che chi ha la prima casa non paga nulla, mentre in Italia c’è gente che non arriva a 500 euro al mese». Per il segretario della Fiom sono queste le ragioni che «rendono la proposta di coalizione sociale ancora più forte».