ROMA . Nonostante le grandi correzioni effettuate negli ultimi vent’anni, il sistema pensionistico italiano ha ancora troppe pecche, e corre ancora rischi in caso di eventi avversi. In altre parole, non è stato affatto messo “in sicurezza”. Ad affermarlo è una ricerca internazionale indipendente fatta dalla in collaborazione con l’Australian centre for financial studies che Repubblica riporta in esclusiva insieme al Financial Times. L’Italia prende appena una sufficienza, contro l’eccellenza di paesi come la Danimarca (al primo posto), l’Olanda, la Svizzera, la Svezia e la stessa Australia. In questi paesi – ma anche in altri, seppur in un gradino più basso come la Germania, la Finlandia, la Gran Bretagna – i futuri pensionati possono dormire sonni tranquilli. Il nostro paese si ferma al ventesimo posto sui 25 considerati ed è il peggiore di tutti sul lato della sostenibilità a lungo termine. Ai paesi più solidi è stata assegnata una A (con l’indice di 80 – su un massimo teorico di 100), seguita dai paesi B+ (indice fra 75 e 80), B (fra 65 e 75) , C+ (fra 60 e 65) e C (fra 50 e 60). A quest’ultima categoria, ma proprio per il rotto della cuffia, appartiene anche l’Italia, a cui è stato attribuito un indice di 50,9. I paesi che rientrano nel gruppo C (che include, al livello più alto, però, anche Usa e Francia) hanno “sistemi che hanno delle buone caratteristiche ma senza miglioramenti l’efficacia e la sostenibilità a lungo termine sono problematici”.
La catalogazione dei sistemi previdenziali di tutto il mondo è avvenuta creando tre sub-indici che riguardano l’”adeguatezza”, la “sostenibilità” e l’”integrità”. L’Italia ha un ottimo posizionamento sia nell’”adeguatezza” che nell’”integrità”, ma è addirittura ultima nella “sostenibilità”. Per adeguatezza i ricercatori intendono la capacità di un sistema di dare una pensione abbastanza alta. Per integrità s’intende la bontà della regolamentazione . Anche qui l’Italia fa una buona figura. Se il sistema italiano è così fragile è dunque tutto dovuto al suo livello di “sostenibilità”. Le ragioni di questa lacuna sono svariate, ma le principali sono tre. La prima è, semplicemente, demografica ed è nota: la popolazione italiana è fra quelle che invecchiano più rapidamente. Alla seconda pensiamo molto poco: l’alto livello di debito pubblico impedisce allo Stato di intervenire in caso di necessità, e si sa che in Italia nei prossimi anni ci sarà la cosiddetta “gobba” previdenziale con troppi pensionati e pochi lavoratori attivi. Inutile dunque attendersi un aiuto da una crescita, seppur temporanea, del debito pubblico. Il terzo elemento di debolezza è che il sistema italiano è troppo spostato sulla parte pubblica e poco su quella privata (fondi pensione) che invece si autosostiene.
Ed ecco la raccomandazioni dei ricercatori australiani dirette all’Italia: 1) va incrementata la quota di fondi pensione e di versamenti a forme volontarie che nel lungo termine spostano il peso della pensione dallo Stato agli stessi lavoratori; 2) va aumentata ancora l’età pensionabile; 3) va ridotta la possibilità di un ritiro anticipato, accrescendo la quota di lavoratori attivi nelle età più avanzate; 5) infine, una riduzione del debito pubblico renderebbe più solido anche il sistema previdenziale.