PECHINO. La Cina rallenta ancora ma non spaventa più i mercati, preparati alla frenata della seconda economia mondiale dopo l’estate nera di Borse e yuan. Il calo della crescita del Pil, per la prima volta sotto gli obbiettivi fissati dal governo, è però adesso ufficiale. Nel terzo trimestre 2015 il prodotto interno lordo di Pechino è salito del 6,9%, il ritmo più basso dal 2009, anno della crisi finanziaria scoppiata negli Usa. Lo stesso ufficio nazionale di statistica ha ammesso ieri che il rallentamento peggiore da quasi sette anni rende difficile chiudere il 2015 con una crescita del 7%, target che lo stesso premier Li Keqiang aveva confermato lo scorsa settimana. Inferiore alle attese anche la produzione industriale, che su base annua fa segnare un più 5,7%. In parziale controtendenza i consumi interni: le vendite al dettaglio crescono del 10,9%, trainate in particolare dall’e-commerce, che tra gennaio e settembre è cresciuto del 36,2% rispetto al 2014, fino a valere il 12% dell’intero commercio al dettaglio lordo. A rassicurare i mercati, nonostante la conferma che la marcia della superpotenza cinese non sarà più a doppia cifra, due indicatori positivi: la frenata è meno brusca rispetto alle previsioni degli analisti, che temevano un più 6,7%, mentre le autorità di Pechino confermano sforzi massicci per superare la crisi. Nei primi nove mesi gli investimenti di Stato in infrastrutture sono saliti del 10,3% e il maxi-piano per realizzare la nuova Via della Seta, voluto dal presidente Xi Jinping, promette oltre 100 miliardi di dollari di finanziamenti entro il 2020. Il calo cinese inferiore alle attese non ha fatto così scontare la frenata ai mercati finanziari. In positivo ieri sia le Borse asiatiche che quelle europee. Gli occhi sono ora puntati sulla Bce, che gli analisti vedono avviata verso una «fase 2» del «quantitative easing», forse già entro dicembre. La debolezza dell’inflazione e l’andamento fiacco della manifattura sembrano suggerire un nuovo intervento monetario di Francoforte. Il dato essenziale è però l’assorbimento internazionale di una Cina con tassi di crescita meno esplosivi, tali da ridelineare la mappa del segno più per i prossimi anni e da sancire la fine del duopolio Cina-Usa nella ripresa globale. Per Pechino il problema ora è conservare livelli di creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili e compatibili con la stabilità sociale. Per il resto del mondo la sfida è invece quella di sostenere i nuovi epicentri della crescita, in Europa, nel Sudest asiatico, ma pure in Africa e in America Latina. La velocità perduta da Pechino si è sparsa a macchia di leopardo, offrendo agli investitori la speranza di una crescita meno decisa ma più omogenea su tutto il pianeta. La stessa leadership rossa, a fine mese, varerà il nuovo piano quinquennale, orientato alla qualità e non più alla quantità della produzione. Washington dichiara di attendersi anche un apprezzamento dello yuan, trainato in settimana dal debutto della banca centrale cinese a Londra. Pechino frena, ma nessuna economia riesce ancora a tenere il suo passo.