Mar­chionne, lo schiaffo americano

Mar­chionne, lo schiaffo americano

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Fiat Chrysler. Il 65% dei dipendenti statunitensi boccia l’accordo firmato dal manager italiano con il sindacato Uaw. Non colmava il gap tra operai veterani e nuovi assunti: e le tute blu, dopo anni di sacrifici, non accettano più salari dimezzati . Landini (Fiom): «Modello di democrazia, da noi invece non si può votare»

«Vote no to Ser­gio». Uno slo­gan che ha avuto molta for­tuna tra i 36 mila dipen­denti ame­ri­cani del gruppo Fca, tanto che ieri il super ceo dei due mondi (Ser­gio) Mar­chionne ha rice­vuto uno schiaffo che deci­sa­mente fino a qual­che giorno fa non si sarebbe aspet­tato. Il 65% dei lavo­ra­tori Fiat Chry­sler ha infatti riget­tato l’accordo siglato dal mana­ger con Den­nis Wil­liams, pre­si­dente del sin­da­cato Uaw (Uni­ted auto wor­kers). È la prima volta in 30 anni che accade nella sto­ria di que­sta orga­niz­za­zione, e addi­rit­tura si minac­cia uno scio­pero: pare che per bat­tere un record così impor­tante ci volesse pro­prio il (nostro) Ser­gio. E dire che Mar­chionne ha sem­pre van­tato ottimi rap­porti con le tute blu Usa, con­trap­po­nen­dole ai più riot­tosi e a suo parere vetero ope­rai ita­liani. Ed è un modello per il nostro pre­mier Mat­teo Renzi.

Ma quando si parla di sala­rio e di ugua­glianza, il “vetero” rie­merge pre­po­ten­te­mente: il punto più con­tro­verso dell’accordo con lo Uaw, infatti, riguarda la paga ora­ria dei più gio­vani, quelli entrati dopo la sto­rica fusione tra la Fiat e la Chry­sler. E che hanno per­messo, accet­tando sti­pendi di fatto dimez­zati, alla nuova Fca di ripar­tire. E di arri­vare oggi a ottime per­for­mance: la divi­sione Usa dell’azienda ha chiuso il 2014 con un pro­fitto del 4%, e adesso che l’auto ita­loa­me­ri­cana torna a tirare, le tute blu si sono chie­ste: e noi?

Loro con­ti­nuano a essere pagati in modo dif­fe­rente: 28 dol­lari l’ora i vete­rans, quelli che in Chry­sler ci sta­vano già, prima della mira­co­losa rina­scita rea­liz­zata gra­zie anche ai finan­zia­menti con­cessi da Barack Obama e dall’investimento dei fondi pen­sione del sin­da­cato; e 15 dol­lari i gio­vani neo assunti, quelli con il con­tratto pro­gres­sion, desti­nato un giorno ad aumen­tare, almeno nelle inten­zioni e nelle pro­messe rei­te­rate dal sin­da­cato negli ultimi anni. Una pic­cola cor­re­zione al rialzo c’era già stata nell’ultimo con­tratto, ma adesso, a fine 2015 e con i pro­fitti ormai con­so­li­dati, ci si aspet­tava la fine del dop­pio bina­rio, almeno alla con­clu­sione degli anni coperti dal rin­novo. E invece no.

Se alla delu­sione degli ope­rai per il sala­rio, si aggiunge la paura per la minac­ciata ridu­zione dei bene­fit sani­tari, e un piano indu­striale che vuole delo­ca­liz­zare a breve la pro­du­zione chiave in Mes­sico, la frit­tata è fatta. E così è pas­sato il no: al 65% come detto, ma in diversi impianti, da Toledo in Ohio, pas­sando dall’Indiana e fino allo stesso cuore della Chry­sler, la Jef­fer­son North di Detroit, con ben 4400 dipen­denti, la valanga di rifiuti è stata ancora più pesante, arri­vando in alcune unità pro­dut­tive locali fino all’80% e oltre.

Adesso la Uaw dovrà fare il punto, e capire se con­verrà lasciare aperta que­sta ver­tenza, magari con lo scio­pero, e ten­tando di siglare un nuovo con­tratto, o se invece sia il momento di con­ge­larla, e aprire altri due tavoli piut­to­sto rognosi, quelli con Ford e Gm, che per­lo­meno pre­sen­tano pro­fitti più alti di Fca. Ma le due aziende sono anche due ossi duri, visto che hanno già annun­ciato di voler abbas­sare il costo del lavoro per avvi­ci­narlo a quello della Fca: e la Uaw, schiaf­feg­giata di fre­sco, non arri­ve­rebbe forte alla trattativa.

Bill Par­ker, ope­raio 63enne della fab­brica Chry­sler di Ster­ling Heights, nel Michi­gan, ha spie­gato ieri al Wall Street Jour­nal che i lavo­ra­tori «sono arrab­biati con Mar­chionne, per­ché lui, ora che l’azienda è più ricca, non si è sfor­zato di resti­tuire loro quello che hanno dato in passato».

E no, i piani alti della com­pa­gnia ita­loa­me­ri­cana non si com­muo­vono: ieri con un comu­ni­cato si sono defi­niti «delusi». La società rite­neva «di aver rag­giunto, al ter­mine di ore di dia­logo e dibat­tito, un com­pro­messo equo».Fca ricorda quindi «l’esperienza del 2009» (l’anno del rilan­cio di Chry­sler) e «il grande numero di lavo­ra­tori che è stato por­tato nel gruppo da allora». Adesso, nella trat­ta­tiva, si è cer­cato «il giu­sto equi­li­brio tra suc­cesso e com­pe­ti­ti­vità». «La natura ciclica dell’industria auto­mo­bi­li­stica — spiega la nota — richiede che venga rico­no­sciuto il biso­gno di pre­miare i dipen­denti durante i periodi di pro­spe­rità, ma anche il biso­gno di tute­larsi da ine­vi­ta­bili con­tra­zioni del mer­cato». «Siamo impa­zienti di con­ti­nuare il dia­logo con il Uaw», con­clude Fca.

Dall’Italia parla Mau­ri­zio Lan­dini, segre­ta­rio della Fiom Cgil, sin­da­cato che ha con­dotto un lungo brac­cio di ferro con Mar­chionne. Lan­dini defi­ni­sce quello Usa «un esem­pio di demo­cra­zia sin­da­cale e indu­striale da imi­tare, visto che in Ita­lia non è mai stato pos­si­bile per­met­tere a tutti i dipen­denti di potere votare sull’accordo che li riguarda senza ricatti».

Per Gior­gio Airaudo, depu­tato di Sel e a lungo nel sin­da­cato tori­nese negli anni dei con­flitti con la Fiat, «lo Uaw ha fatto i conti con un prin­ci­pio sem­plice e basi­lare, direi uni­ver­sale, del sin­da­ca­li­smo: l’obiettivo dell’uguaglianza. Se in pas­sato, al momento della rico­stru­zione della Chry­sler, si era accet­tato un pesante sacri­fi­cio, adesso gli ope­rai giu­sta­mente si aspet­ta­vano un ritorno alla regola “pari man­sioni a pari salario”».


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