Lo scatto in avanti in Iraq Il governo cerca un ruolo per una svolta in Libia

by redazione | 7 Ottobre 2015 9:06

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Il retroscena. 140 Piloti e personale di supporto italiani inviati in Iraq l’anno scorso, quando l’Italia ha deciso di partecipare alla missione a guida americana contro lo Stato Islamico. 400 Caschi blu italiani promessi la scorsa settimana dal premier Renzi all’Onu in aggiunta a quelli attuali. Scelta legata alla corsa per un seggio non permanente all’Onu 
 
 ROMA L’uscita della notizia ha complicato le cose. Chi lavora con il presidente del Consiglio la mette in questo modo: «La cosa non era ancora stata discussa con il Quirinale e negoziata in modo adeguato con gli alleati».
Ovviamente è anche scattata una sorta di indagine per verificare la falla nel sistema informativo dell’esecutivo: se la scelta di un nostro coinvolgimento diretto nei bombardamenti contro l’Isis, su suolo iracheno, è diventata di pubblico dominio, grazie all’anticipazione del Corriere , prima ancora che una decisione compiuta fosse stata definita a livello istituzionale questo complica, e di non poco, la trattazione della materia.
Di sicuro Renzi ha ben chiaro che in questo momento «l’opinione pubblica è contraria» a un tipo di svolta di questo tipo: anche per questa ragione, nelle ultime settimane, nonostante l’insistenza dei nostri apparati militari, una richiesta diretta del governo iracheno e una richiesta ufficiosa degli alleati americani, ha soppesato i pro e contro di una decisione, senza arrivare alla conclusione del dossier.
I nostri militari impiegati in Iraq hanno presentato in questo modo la richiesta di un salto di qualità: attualmente, è la rivendicazione e insieme la recriminazione, il sistema di puntamento e ricognizione degli obiettivi da parte dei nostri Tornado espone i nostri piloti a rischi molto grossi senza la possibilità di avere un controllo dell’azione (poi fanno fuoco gli aerei olandesi); secondo punto: non sparando non facciamo parte del processo di decisione, veniamo tagliati fuori da una serie di informazioni cruciali, che invece condividono solo coloro che effettuano bombardamenti; terzo punto, aspetto finanziario da non sottovalutare: un nostro upgrading in Iraq richiederebbe finanziamenti adeguati e sicuramente non ridotti, cosa che andrebbe fissata nell’imminente legge di Stabilità.
Ragioni tecniche, militari, anche di orgoglio professionale, che in questo si sposano con le esigenze del nostro governo: Renzi si muove in modo cauto, ma sta indubbiamente cercando un rafforzamento del nostro peso diplomatico. Alle Nazioni Unite, la settimana scorsa, ha promesso circa 400 caschi blu italiani in più rispetto agli attuali, pur senza dare troppa pubblicità alla decisione. La corsa verso un seggio non permanente all’Onu, dopo anni di assenza, giustifica lo sforzo, anche se è ancora non è chiaro quale battaglione verrà offerto alle operazioni di peacekeeping gestite dalle Nazioni Unite.
La stessa dinamica può legare un salto di qualità in Iraq ai nostri interessi di medio e lungo periodo in Libia: far parte a pieno titolo, anche bombardando, della coalizione guidata dagli americani potrebbe alzare e di non poco il nostro «peso» nella gestione della crisi libica.
Temi che sono certamente rientrati nei colloqui di ieri del segretario alla Difesa americana, Ash Carter, in visita in Italia. Ieri ha incontrato a Sigonella il ministro Roberta Pinotti, oggi vedrà il capo dello Stato. Si discuterà certamente anche dei ritardi nel lancio operativo del sistema radar satellitare costruito dagli americani in Sicilia, vicino a Niscemi. Ritardi legali, burocratici, ambientali, che ora mettono a rischio l’impianto, che il Pentagono potrebbe decidere di spostare in Spagna. Anche questo un dossier sulla scrivania di Renzi, che nel frattempo ha rinunciato alla visita in Libano, che avrebbe dovuto compiere oggi .
Marco Galluzzo
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