Landini: «Salario minimo? Sì, ma lo stabiliscano i contratti»
Il segretario Fiom. Con una rappresentanza certificata non servono nuovi modelli creati a tavolino. Rinnovi annuali, attenzione al Pil e ai fattori produttivi. Il governo defiscalizzi gli aumenti nazionali, farebbe bene alle buste paga. No ai «prestiti» per i pensionati. L’Italia come la Francia? Il leader delle tute blu Cgil dice che dove serve è giusto occupare le fabbriche, ma con mezzi democratici
«Il governo vuole fare una legge sul salario minimo? Regoli finalmente la rappresentanza, e renda legali i minimi fissati dai contratti nazionali. In quel caso saremo d’accordo». Il segretario della Fiom Cgil, Maurizio Landini, non sembra temere l’accelerazione impressa ieri dalla Confindustria, che ha dato il colpo di grazia a una trattativa mai partita su un nuovo modello contrattuale e ha suonato una sorta di «libera tutti». Ma mette in guardia le imprese: «Non si sognino di ridimensionare il ruolo del contratto nazionale e di ridurre i salari, perché è una strada non percorribile».
Sostanzialmente siete d’accordo con un salario minimo, ma purché non venga autonomamente stabilito dalla legge. Dovrebbero insomma farlo i contratti.
Io parto da due norme necessarie, e da quelle discenderebbe poi un intervento legislativo sul salario minimo. Innanzitutto serve una legge per la certificazione della rappresentanza, e che renda certo il diritto per i lavoratori di eleggere sempre la propria Rsu. Secondo pilastro: un contratto aziendale, nazionale o interconfederale per essere valido deve essere firmato da chi ha la maggioranza certificata e votato dalla maggioranza dei lavoratori. Se hai queste due condizioni, ha senso fare una legge che riconosca validità erga omnes ai contratti nazionali, e così i minimi di ogni categoria saranno quelli validi per legge. Inoltre bisognerebbe ridurre il numero dei contratti, e cancellare l’articolo 8 voluto dalla Fiat e varato dall’allora ministro Sacconi: è assurdo che parti private possano derogare delle leggi.
Che criteri proponete per i rinnovi?
La Fiom sta discutendo la piattaforma, che sarà varata il 23 e 24 ottobre dall’assemblea nazionale dei delegati. Abbiamo proposto una assoluta novità: la contrattazione annuale del salario, tenendo conto non solo dell’inflazione, ma anche dell’andamento economico e di settore. Sarebbe anche un modo per tenere d’occhio costantemente l’andamento della produzione e dei fattori produttivi. Noi siamo per discutere anche di orari, in particolare per ridurli, di riunificazione di tutte le forme di lavoro sotto un ombrello unico di diritti e tutele, e di neutralizzazione delle parti deteriori del Jobs Act. Il governo, poi, dovrebbe defiscalizzare gli aumenti nazionali, e non quelli aziendali, perché riguardano milioni di persone: nella nostra categoria il 70–80% dei lavoratori non è coperto dal secondo livello.
Quanto è accaduto in Air France potrebbe succedere anche da noi?
Oggi in tv (ieri per chi legge, ndr) mi è stato chiesto cosa ne pensavo, e io ho risposto che dobbiamo chiederci perché accadono episodi simili. Se si presenta un manager che propone la riduzione dei salari per lavorare di più o altrimenti taglia 3 mila posti, io dico solo che capisco la situazione di chi si sente sotto ricatto. A un’altra domanda, sulla possibilità che le fabbriche vengano occupate in Italia, io ho ripetuto quanto detto già in passato: in otto anni di crisi abbiamo perso 80 mila imprese, e ogni azienda che chiude lo fa per sempre. Quindi dobbiamo fare di tutto, con i mezzi democratici che abbiamo, per difendere imprese e lavoro.
Il governo vuole cambiare anche le norme sullo sciopero. Cosa ne pensate?
Dico che il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione, e che è un diritto individuale a uso collettivo, quindi non si tocca. Detto questo, nel pubblico si può verificare se la legge già vigente funziona. E per il privato non dimentichiamo che esistono già accordi e procedure di confronto preventivo, l’impegno delle parti che prima di atti unilaterali ci si incontri per discutere: ma tutto questo deve valere anche per le imprese, non solo per i lavoratori.
L’idea di riformare le pensioni istituendo dei «prestiti» ai lavoratori vi piace?
Io credo che si dovrebbe ridurre l’età pensionabile per tutti, e senza penalizzazioni. Avendo però particolare attenzione per alcuni tipi di lavoro: perché non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita. Inoltre, credo che non sia sostenibile, soprattutto per i giovani, un sistema puramente contributivo come quello attuale. Quindi vediamo quali risorse per riequilibrare: innanzitutto penso a sistemi di solidarietà interni, tra chi ha tanto e chi ha poco. E poi mi chiedo perché i lavoratori debbano pagare due volte: quando si chiede loro di tagliarsi la pensione, e quando con soldi pubblici si danno 8 mila euro di incentivi alle imprese per assumere giovani a tutele crescenti.
E i soldi per la tassa sulla casa?
È una tassa che non toglierei: con 4–5 miliardi finanzierei un reddito di dignità per chi non ha lavoro e nuovi ammortizzatori sociali; quelli varati dal governo hanno ridotto le tutele e non puntano sulla riduzione degli orari e sui contratti di solidarietà.
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