by redazione | 30 Ottobre 2015 8:24
Elezioni 2016. La fallita mediazione fra Pd e Marino dà corpo a una strategia che coinvolge l’intero quadro politico nazionale. In caso di successo si prefigurerebbe una nuova e molto diversa alleanza con la quale presentarsi agli elettori in primavera
La capitale morale sarà pure Milano, ma è a Roma che si sta già giocando, e tanto più si giocherà nei prossimi mesi, una partita la cui valenza va molto oltre le pur non trascurabili mura capitoline. Alla fine dell’incontro di martedì notte tra Matteo Orfini e Ignazio Marino, la delegazione del Nazareno aveva ben chiaro in mente cosa sarebbe successo oggi, e la brutta notizia non ha tardato a rimbalzare oltreoceano. Al premier, nella notte, il quadro è stato immediatamente chiaro: se da un lato è a questo punto fondamentale ottenere la caduta della giunta Marino, dall’altro quella caduta non può essere provocata da una torbida sinergia tra il Pd, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle.
Fosse solo una questione di aritmetica, il tetto di consiglieri dimissionari necessario per chiudere i giochi col riottoso sindaco verrebbe facilmente superato, e se non si trattasse di Roma si potrebbe procedere senza indugi. Ma nella Capitale non si può, perché appunto la partita che si gioca intorno al Campidoglio ha una immediata ricaduta nazionale e il prezzo dell’alleanza spuria sarebbe salato in tutte le città chiamate al voto in primavera. Le dimissioni dei consiglieri della destra o delle cinque stelle possono essere tutt’alpiù aggiuntive, non determinanti.
Così, già subito dopo l’incontro fallito, aspettando il passo già certo di Marino, ha preso corpo una strategia che, se coronata da successo, coinvolgerebbe inevitabilmente l’intero quadro politico nazionale. I ragazzi del Nazareno si sono messi in caccia dei voti necessari a sgambettare il recalcitrante senza soccorsi azzurri o pentastellati. Ma lo fanno sapendo perfettamente che, in caso di successo, si prefigurerebbe una nuova e molto diversa alleanza con la quale presentarsi agli elettori in primavera: Lista Marchini e Ncd, più qualche voto della Lista Marino stessa, spianando così la strada per una candidatura Marchini, sulla quale ragionano del resto anche a palazzo Grazioli. Sarebbe il segno di un definitivo e aperto passaggio del Pd dall’area di centro, nella quale Matteo Renzi lo ha già saldamente collocato, a quella di centrodestra. Trattandosi di Roma, sarebbe impossibile contrabbandare il modello come casuale e circoscritto a una «realtà locale». In buona misura, la natura del futuro Pd dipende da quel che succederà nelle prossime ore a Roma e poi, a maggior ragione, dal responso degli elettori quando saranno chiamati a dire la loro. Se la strategia allestita nella notte da un Pd nonostante tutto spiazzato da Marino non funzionerà, perché raggranellare 25 voti senza le opposizioni è tutt’altro che facile, la partita proseguirà al buio e la perdita di Roma alle elezioni è già messa nel conto.
Tra i difetti di Matteo Renzi non figura l’ingenuità. Sa bene che la mossa di Marino prelude molto probabilmente alla presentazione di una sua lista civica che segnerebbe la sorte del Pd nelle urne. Il premier ha deciso di andare avanti comunque, convinto che anche senza la lista Marino la sconfitta a Roma sarebbe se non certa, molto probabile. Anche in quel caso, però, il test romano inciderà a fondo sulla politica nazionale. Renzi verificherà da quale nemico debba maggiormente guardarsi nelle elezioni politiche. Se sarà il centrodestra, la cui forza è tutta nella coalizione, il premier si terrà ben stretto l’Italicum così come è, ma se invece sarà il Movimento di Grillo, che punta invece sulla lista, le cose potrebbero cambiare e Renzi potrebbe scegliere di riaprire le porte al premio di coalizione. Pronto a ripetere su scala nazionale quello che sta tentando in queste ore a Roma: un cartello di centrodestra con il suo Pd come perno.
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