La guerra in Siria e l’attrazione fatale italiana

La guerra in Siria e l’attrazione fatale italiana

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I bom­bar­da­menti ita­liani in Iraq sono dun­que sul tavolo. La mini­stra della difesa Pinotti — ascol­tata in Par­la­mento insieme a Gen­ti­loni mar­tedì scorso — ha dichia­rato: «Valu­te­remo nuovi ruoli» e poi: «Quando il governo avrà sta­bi­lito un suo orien­ta­mento, rife­rirà in Par­la­mento». Cioè, tra­dotto in ita­liano: stiamo valu­tando se bom­bar­dare e quando il governo deci­derà, lo farà sapere al Par­la­mento. Bontà sua. Ma le valu­ta­zioni (e le deli­be­ra­zioni) le deve fare il Par­la­mento, non la Pinotti.

La noti­zia di un pos­si­bile inter­vento mili­tare ita­liano in Iraq l’aveva data l’altro ieri il Cor­riere della Sera. Infor­mato, pare, da fonti interne (assai auto­re­voli) del mini­stero della Difesa, sulle cui gerar­chie mili­tari la mini­stra Pinotti sta per­dendo pro­gres­si­va­mente il con­trollo. La richie­sta — più o meno espli­cita — di una par­te­ci­pa­zione ita­liana ai bom­bar­da­menti viene dal governo ame­ri­cano (anche per con­tro­bi­lan­ciare il pro­ta­go­ni­smo russo in Siria) e da quello ira­cheno.
Ma c’è anche la pre­oc­cu­pa­zione delle gerar­chie mili­tari di un pos­si­bile taglio (pre­fi­gu­rato nella legge di sta­bi­lità) del 3% delle spese per la difesa: l’intervento mili­tare usato come pre­te­sto di bot­tega per scon­giu­rare i tagli.
Fin­ché c’è guerra, c’è spe­ranza, reci­tava il titolo di un film con Alberto Sordi.

In Iraq, nella coa­li­zione anti-Isis, l’Italia c’è già con una mis­sione di sor­ve­glianza e di adde­stra­mento. Abbiamo quat­tro Tor­nado che hanno com­piti di pat­tu­glia­mento. La loro influenza (qua­lora doves­sero anche bom­bar­dare) sul corso della lotta anti-Isis è inin­fluente. Ma è la clas­sica ban­die­rina che serve per rita­gliarsi un ruolo nella coa­li­zione (come ai tempi di Cavour con i sol­dati man­dati in Cri­mea) ed impe­dire che la spen­ding review riguardi anche le armi (e non solo gli ospedali).

In audi­zione al Par­la­mento, il mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni ha fatto un inter­vento cauto e sobrio, esclu­dendo l’intervento mili­tare, men­tre la mini­stra Pinotti — «la mini­stra con l’elmetto», l’ha defi­nita il vice pre­si­dente della Com­mis­sione Esteri, Era­smo Palaz­zotto nel corso dell’audizione — è stata ambi­gua ed opaca, facendo un mezzo sci­vo­lone. Non è la prima volta: già di fronte al disa­stro della guerra in Libia, alcuni mesi fa, la Pinotti evocò la pos­si­bi­lità di inviare 5mila sol­dati — sti­vali sul ter­reno — salvo poi essere smen­tita il giorno dopo da Mat­teo Renzi alla dire­zione del Pd, che escluse ogni inter­vento militare.

L’«attrazione fatale» verso la guerra è il segno dell’assenza di una stra­te­gia poli­tica verso la lotta all’Isis (che deve essere una stra­te­gia per la solu­zione dei pro­blemi di quell’area geo­gra­fica) e delle dina­mi­che geo­po­li­ti­che dove ogni potenza, grande o media o pic­cola (dalla Rus­sia agli Usa, dalla Fran­cia all’Italia), cerca di rita­gliarsi un pro­prio spa­zio. Il tutto senza fare i conti con l’enorme com­ples­sità dei con­flitti in quell’area, con le con­se­guenze dei flussi migra­tori, con le dina­mi­che poli­ti­che e reli­giose degli attori in campo.

Abbiamo già visto cosa è suc­cesso con l’intervento mili­tare in Libia, che molti con­si­de­ra­vano come riso­lu­tore oltre che per la fine del regime di Ghed­dafi anche per l’avvio di una nuova fase demo­cra­tica nel paese. Invece si è aperto il «vaso di Pan­dora» e l’Isis spa­dro­neg­gia ora anche in quell’area. La guerra è una scor­cia­toia e per para­fra­sare il vec­chio ada­gio non è la con­ti­nua­zione, ma il fal­li­mento della poli­tica con altri mezzi.

Non c’è, non ci sarà alcuna solu­zione mili­tare, nes­suna azione bel­lica, nes­sun bom­bar­da­mento capace di sra­di­care il ter­ro­ri­smo e risol­vere i con­flitti in quell’area, come d’altronde 20 anni di inter­venti mili­tari nel Medio Oriente ci hanno mostrato. Quello che carat­te­rizza que­sto governo è la man­canza di visione, la subal­ter­nità ai rap­porti di forza e di potere inter­na­zio­nali, l’assenza di auto­no­mia e di dise­gno stra­te­gico e l’inconfessato per­se­gui­mento di alcuni inte­ressi eco­no­mici e geo­po­li­tici nazio­nali. Così non si va da nes­suna parte. Anzi, si va dalla parte sba­gliata: quella della guerra.



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