Il poeta. Pier Paolo Pasolini il vangelo eretico di un artista totale

by redazione | 28 Ottobre 2015 10:58

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Malgrado la sua venerabile età, quello della cultura italiana è un cielo giovane, in cui molte stelle fisse sono apparse da poco. Nel teatro, nella poesia o nel romanzo, ma anche nella critica e ovviamente nel cinema, non pochi autori sono assurti alla gloria appena pochi anni fa. Quello di Pasolini tuttavia, è un caso a parte: in mezzo a tanti astri, la sua figura spicca come una costellazione vera e propria. Nessuno ha ottenuto risultati così notevoli in discipline altrettanto disparate. Nessuno ha tentato, è ed riuscito, a imporsi come poeta e romanziere, critico e drammaturgo, regista,opinionista, maître à penser.
Anche la sua morte, atroce ed emblematica, lo ha proiettato sulla volta celeste del mito. Accadde quarant’anni fa, il 2 novembre del 1975: fu trovato ucciso all’Idroscalo di Ostia, il corpo martoriato, e tanti misteri non chiariti sugli autori materiali e sui mandanti. Ma con quella tragedia è andato incontro anche a ciò che i greci chiamavano “apoteosi”, ovvero a una sorta di deificazione: l’assunzione al Cielo di un mortale. Come Ercole o Pegaso, forse, nel firmamento culturale d’oggi, Pasolini è l’unica figura degna di tale consacrazione.
Ciò che colpisce di più è la sua portentosa duttilità. Solo un uomo dal genio rinascimentale, per certi aspetti addirittura leonardesco, poteva passare dalla solitudine del filologo e dello scrittore, a quell’autentico suk in cui consiste una ripresa cinematografica, lasciando il bianco silenzio della pagina per il forsennato caos di una troupe. Questo per dare un’idea, sia pure sommaria, delle inverosimili capacità metamorfiche del nostro autore. D’altronde la sua formazione riflette bene tale bulimia. Già in terza liceo Pasolini viene promosso con una media tanto alta da fargli saltare un anno. Iscrittosi appena diciassettenne alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, eccolo avventarsi su materie disparate come la filologia romanza o la storia dell’arte, il cui insegnamento era affidato a un maestro quale Roberto Longhi. Superfluo ricordare, a questo punto, i suoi primi dipinti, peraltro sostenuti da un altro grande storico dell’arte, Francesco Arcangeli. Certo, una simile fame di sapere, una simile urgenza conoscitiva acquistano un significato drammatico e premonitore alla luce della sua morte precoce, quasi che l’enfant prodige avesse avuto bisogno di bruciare le tappe per realizzare in tempo tutti i suoi progetti. Si spiegano così, per certi versi, la foga con cui lo studente ( che nel frattempo viene promosso capitano di calcio della facoltà di Lettere) divora la poesia di Montale e di Ungaretti, nonché le traduzioni di Quasimodo, mentre si imbatte in Freud e Marx, che rimarranno fra i punti fermi del suo pensiero: “eretico”, “corsaro”, in certi casi indubbiamente contraddittorio. Dopo Bologna, poi, è la volta di Casarsa, in provincia di Pordenone, città natale dell’adorata madre.
Qui avranno luogo due esperienze fondamentali: da un lato la scoperta della poesia dialettale, attraverso l’adozione della lingua friulana, dall’altro la realizzazione di un’omosessualità edenica, troppo presto trasformata in cacciata dal paradiso terrestre sotto forma di denuncia per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico, espulsione dal partito comunista e revoca dell’incarico di docente. Senza più mezzi di sostentamento, e con la madre costretta a fare la donna delle pulizie, Pasolini si trasferisce a Roma, dove ben presto troverà, fra tante amicizie, quelle di Alberto Moravia e Bernardo Bertolucci. Poco dopo, la folgorante affermazione nel mondo letterario, giornalistico e cinematografico.
L’elenco delle sue opere è impressionante. In poesia si va dalle prove dialettali di La meglio gioventù (poi riscritto come La nuova gioventù) alle “romane” Ceneri di Gramsci, passando per La religione del mio tempo e Transumanar e organizzar . Nel romanzo, Ragazzi di vita e Una vita violenta , oltre al magmatico e incompiuto Petrolio . E mentre nel teatro spiccano testi quali Affabulazione o Bestia da stile , tra i suoi film campeggiano capolavori come Accattone,
Il Vangelo secondo Matteo , la trilogia della vita ( Il Decameron , I racconti di Canterbury , Il fiore delle Mille e una notte ) e il brutale, visionario Salò o le 120 giornate di Sodoma .
Grandi film, per un uomo la cui versatilità emerge bene dal rapporto con Federico Fellini. Il regista, che aveva fondato con Rizzoli una casa cinematografica, nel 1961 fu in trattative per produrre
Accattone . Viste le prove iniziali, però, si tirò indietro.
Oltre alle pellicole di finzione, altrettanto ricca fu inoltre la sua produzione di documentari, che spaziano dall’Emilia di Comizi d’amoreall’Uganda di Appunti per una Orestiade africana, nel coraggioso e ingenuo tentativo di rinvenire il mito greco alle radici di culture preindustriali.
Occorre tuttavia illustrare ancora un passaggio di estremo interesse. A un certo punto, infatti, lo stesso uomo che, nella sua disperata nostalgia del passato agreste in cui viveva la provincia italiana, predicava il ritorno alle radici e il rifiuto della società capitalista, si trasformò in un viaggiatore indefesso, in un etnografo innamorato delle origini, pronto a cogliere ora “l’odore dell’India”, ora l’intatto fascino dell’antica architettura yemenita.
Proviamo dunque a tirare le somme. Abbiamo parlato di “costellazione Pasolini”, ad ogni modo, qualunque sia la similitudine che vogliamo adottare, ovunque vadano le nostre preferenze, una cosa è evidente: con l’autore di un film e opere teatrali, versi e romanzi, editoriali sull’omologazione e recensioni come quella su Mandel’stam quale caposcuola delle poesia russa, siamo di fronte a un talento così multiforme da meritare l’impiego del plurale. Se è vero tutto quanto detto finora, allora non dovremmo più dire: “ Pasolini fu”, ma più semplicemente: “ Pasolini furono”.
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