Il Pd scarica Marino il sindaco: restituirò tutto ma pensa alle dimissioni Renzi:decisione rapida

by redazione | 8 Ottobre 2015 9:11

Loading

ROMA. Sotto choc. Tentato dalle dimissioni. Braccato dal fantasma che gli è rimasto appiccicato addosso nel 2002, quando fu costretto a dimettersi dall’università di Pittsburgh e dall’Ismet di Palermo per una brutta storia di note spese anomale e rimborsi doppi. Un incubo che, a distanza di 13 anni, si ripete. E che stavolta, con il paracadute del Pd chiuso per sempre, rischia di travolgere quel che resta dell’uomo e della sua carriera.
Ce l’ha chiaro, il sindaco Ignazio Marino, quando di buon mattino vede Matteo Orfini per tentare di spiegare l’ennesima cena “per motivi istituzionali” consumata con la moglie a spese del Comune. Non sa ancora che di lì a poco pure l’ambasciata del Vietnam smentirà il convivio serale del 6 settembre 2013 al solito Girarrosto Toscano, organizzato — a detta del primo cittadino — in coda alla visita ufficiale della feluca asiatica in Campidoglio.
Il presidente dem è livido, infastidito, consapevole che se il chirurgo colerà a picco, il primo ad affondare sarà proprio lui. Matteo Renzi, nel corso di una telefonata piuttosto burrascosa, glielo ha fatto capire senza giri di parole: «Io te l’avevo detto che si doveva andare a votare, tu l’hai voluto salvare e adesso te lo tieni e muori con lui», il senso del discorso del premier. Il segnale, anche per Orfini, che è ora di mollare Marino al suo destino. «La verità è che dobbiamo uscirne fuori », si sfogherà poi con i suoi, «questa vicenda rischia di andare fuori controllo. Io non sono il suo pasdaran, adesso sarà Renzi a decidere ». Ben sapendo che se dovesse arrivare un avviso di garanzia per peculato, “Ignazio” sarebbe spacciato. Un problema non da poco per il Pd: far votare Roma alle amministrative di primavera «sarebbe un disastro», ragionano al Nazareno. Dove si stanno scervellando per capire come fare a rinviare la caduta a dopo il 24 febbraio, data imposta dalla legge per scavallare la prossima tornata elettorale.
Il sindaco intanto prova a resistere. Conferma tutti gli appuntamenti in agenda per restituire un’immagine di serenità. Quindi si asserraglia a palazzo Senatorio con il “cerchio magico”. Ordina allo staff di passare al setaccio ogni scontrino (solo 6 quelli alla fine giudicati dubbi). Sguinzaglia i suoi in tutti i ristoranti da lui frequentati per convincere osti e camerieri a mantenere la riservatezza. Si mette a caccia di una soluzione per uscire dal vicolo cieco nel quale s’è cacciato.
Con un’idea fissa che gli ronza in testa fin dall’alba: presentare sue le dimissioni, mai tanto vicine come oggi. Invocate peraltro da tutte le opposizioni. Da Alfio Marchini a Grillo che tuona: «Marino lasci e Roma torni al voto », mentre i deputati pentastellati attaccano sulla «questione morale» e decretano «la caduta del mito dell’onestà del sindaco».
Ma i fedelissimi non ne vogliono sentir parlare: il crollo del “capo” li seppellirebbe tutti. Da qui la exit strategy individuata, con un colpo di teatro, a pomeriggio inoltrato, quando prima in giunta e poi con una nota ufficiale il sindaco urla il suo «basta! Sono stufo di tutte queste polemiche. In questi due anni ho speso con la carta di credito comunale meno di 20mila euro per rappresentanza, e li ho spesi nell’interesse della città», si difende l’inquilino del Campidoglio. «Bene, ho deciso di regalarli tutti di tasca mia a Roma e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome. Domattina staccherò l’assegno per l’intera cifra, ivi compresi quei 3.540 euro investiti nella cena con il mecenate Usmanov, che ha portato nelle casse capitoline 2 milioni di euro. Ora la mia decisione mette un punto. E dato che alcuni hanno deciso di investire la Procura, adesso saranno i magistrati a ristabilire la verità». Rivendicando di essere stato lui «a mettere on line tutti gli atti di cui si parla in queste ore» e chiedendo di fatto una moratoria «per il Giubileo che si apre in anticipo l’8 dicembre e che si chiuderà a fine novembre del 2016. È una sfida che Roma, con lo sforzo dei cittadini e con il concorso del governo, saprà vincere».
La mossa della disperazione. La stessa utilizzata con le multe alla sua Panda rossa, pagate in extremis dopo giorni di bufera. Che tuttavia suona come un’ammissione di colpa: l’impossibilità di provare spese istituzionali che ormai sono in troppi a smentire.
Una lunga giornata di passione. Che restituisce la foto di un sindaco sempre più solo. Abbandonato da tutti, eccezion fatta per i suoi assessori. Il primo a chiamarsi fuori è proprio il Pd. «Siamo al capolinea, Marino è indifendibile», tagliano corto i consiglieri comunali. Più sconfortati che arrabbiati. Al punto da meditare una mozione di sfiducia insieme a Sel per mettere fine all’agonia: sarà Orfini a parlarne coi vendoliani nell’incontro fissato per oggi. E Renzi? «Devo ancora decidere, lo farò presto», fa sapere il premier a notte fonda. Mostrando però un pollice che pende pericolosamente verso il basso.
Post Views: 254

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2015/10/il-pd-scarica-marino-il-sindaco-restituiro-tutto-ma-pensa-alle-dimissioni-renzidecisione-rapida/