Il dilemma Putin Mosca tratta sul ruolo di Assad dopo le bombe

by redazione | 3 Ottobre 2015 8:59

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PARIGI. SORRIDENTE, ma non troppo, Vladimir Putin poneva subito un problema a chi l’osservava mentre ieri mattina, prima di pranzo, stringeva la mano di François Hollande nel cortile assolato dell’Eliseo. L’ospite russo del presidente francese era lì, a Parigi, come un concorrente, come un vicino difficile, come un astuto rivale o come un nemico aperto? La sua espressione lasciava nel dubbio. Come del resto i suoi successivi propositi. Agli occhi di Putin, impegnato a ridare il perduto ruolo di superpotenza alla Russia, Hollande è una figura di rilievo ma non della sua stessa stazza. L’esibita ambizione lo spinge a vedere nel presidente degli Stati Uniti il solo vero e degno interlocutore. Ma con il presidente francese, al momento qualificato e autorevole esponente dell’Occidente, avrebbe parlato delle due grandi crisi: l’Ucraina e la Siria. La prima, l’Ucraina era il tema ufficiale dell’incontro, da affrontare insieme alla cancelliera Angela Merkel e al presidente Petro Poroshenko, gli altri due protagonisti della conferenza di Minsk del febbraio scorso; ma la Siria era l’argomento dominante da mettere subito sul tappeto nel colloquio a due. Putin e Hollande. Il formale sorriso del russo e l’espressione protocollare del francese, nel cortile dell’Eliseo, hanno annunciato subito un’atmosfera non certo propizia a un’intesa, a conclusione dell’incontro bilaterale sulla Siria poi durato più di un’ora.
Campione nell’alternare aggressività e distensione, Putin aveva fatto precedere l’arrivo da una notizia destinata a dimostrare la sua buona fede, dopo l’intervento a sorpresa in Siria. Intervento che ha sconcertato gli americani, fino a poche ore prima convinti di poter contare su qualcosa di simile a una collaborazione con Mosca in Medio Oriente.
La notizia diffusa in coincidenza con la visita a Parigi aveva un carattere distensivo: i Sukhoi russi che da due giorni bombardano la Siria avevano colpito Rakka, la capitale dello Stato islamico, e non soltanto, come denunciato dagli occidentali, gli altri movimenti ribelli, compresi quelli addestrati dagli americani. Le forze russe, basate sulla costa mediterranea siriana, a Latakia e nelle vicinanze, avevano dunque esaudito la richiesta americana di attaccare i jihadisti di Daesh (acronimo di Stato Islamico). Questo era il risvolto distensivo della notizia, subito seguito da una implicita precisazione, nonostante gli inviti di Hollande e di Angela Merkel, che la ridimensionava: Vladimir Putin si è ben guardato dal promettere che d’ora in poi gli aerei russi limiteranno le incursioni a quell’obiettivo. Essi continueranno dunque a dirigerle contro tutti gli oppositori armati del regime di Bashar Al Assad. Le richieste di Hollande e di Merkel sarebbero state vane. Non hanno ottenuto un impegno da parte di Putin. È il suo stile. Concorrente? Rivale astuto, Sfuggente? Nemico aperto? Un po’ di tutto questo, secondo i momenti e l’opportunità: un’apparente improvvisazione, che non sempre riesce a mimetizzare gli obiettivi veri.
Numerose guerre, se ne possono individuare almeno cinque, sono in corso in Siria se si fa un accurato elenco degli scontri e delle forze che si accapigliano. Bashar Al Assad è al centro della mischia: contro di lui combattono i movimenti d’opposizione che si dilanianano tra di loro, ma il suo regime è risparmiato dagli aerei della coalizione creata dagli Stati Uniti, la quale riserva le sue bombe a Daesh. L’aperto intervento russo è adesso un sostegno vitale per Bashar Al Assad, poiché é rivolto contro tutti i movimenti ribelli, moderati o jihadisti. L’aviazione russa, affiancata a quella siriana, può appoggiare le operazioni di terra. L’annunciato arrivo di nuovi combattenti iraniani, rafforza ulteriormente Damasco, e fa pensare a una grande offensiva in preparazione.
Mosca e Teheran sono due capitali indispensabili per tentare la soluzione politica, per ora di là da venire. Bashar Al Assad è l’ostacolo che impedisce un’intesa senza ambiguità per isolare Daesh, considerato la principale insidia nella mischia armata in corso nella valle del Tigri e dell’Eufrate, in Siria e in Iraq.
François Hollande e con lui Barack Obama rifiutano di trattare con Damasco, fino a che Bashar Al Assad sarà alla testa del regime. Lo considerano un interlocutore inaccettabile. Non si tratta, dicono, con un torturatore, con un leader che ha usato i gas e ha ordinato stragi nel suo paese. Mentre Vladimir Putin considera Bashar Al Assad, almeno per ora, un alleato irrinunciabile. Anche l’iracheno Saddam e il libico Gheddafi, dicono i russi, erano raìs poco frequentabili, ma vista adesso la situazione nei rispettivi paesi molti li rimpiangono. A parte la lacrimosa lettura del passato mediorientale, la Russia difende una vecchia presenza in Siria, dove da decenni usufruisce del porto di Tartus, a lungo sua sola base sul Mediterraneo. Inoltre il paese di Bashar Al Assad è incollato al Caucaso, in cui non mancano i fermenti islamici. Per l’Iran degli ayatollah Damasco è la capitale in cui governa la setta degli alawiti, parenti sia pure lontani degli sciiti, di cui l’Iran è la principale potenza, insieme al disastrato Iraq. Assad oggi divide due schieramenti di non omogenea composizione. Da un lato la Russia e l’Iran, con l’indecisa alleanza dell’Iraq, in cui il governo sciita è riluttante ma non del tutto indifferente ai richiami di Teheran e alle lusinghe russe, e al tempo stesso usufruisce dell’appoggio militare americano (tremila seicento addestratori e il principale armamemto per lo sgangherato esercito nazionale). Affiancata, ma non alleata, meglio concorrente, o rivale, c’è poi la coalizione creata dagli americani, con paesi occidentali e arabi sunniti, di non sempre rispecchiata fedeltà.
François Hollande ha ribadito, nel colloquio con Vladimir Putin, il rifiuto di trattare con Bashar Al Assad. Ma almeno per il momento, e ufficialmente, il presidente russo si dichiara un tenace difensore del raìs siriano Gli Assad sono al potere a Damasco dai primissimi anni Settanta. Appoggiandosi sulla comunità in cui era nato, la minoranza alawita, condannata a lungo ai servizi più umili e poi diventata con gli anni un’importante, decisiva componente delle forze armate, il generale Hafez Al Assad, padre di Bashar, ha governato il paese con una mano di ferro. Ha represso i movimenti sunniti con stragi che hanno fatto migliaia di vittime. La città di Hama, feudo dei Fratelli musulmani, è stata rasa al suolo con i bulldozer,che seppellivano i morti. La presa del potere degli alawiti, insieme a molti sunniti alleati, nell’esercito e negli affari, è avvenuta per decenni con violenze e soprusi. L’ultima repressione dei movimenti pacifici hanno scatenato la guerra civile, in cui si sono riversati gli islamici, tra i quali ha finito col dominare lo Stato islamico. L’estromissione del potere di Bashar Al Assad provocherebbe il panico tra gli alawiti e di conseguenza la possibile dissoluzione del regime. Sugli alawiti e i loro alleati pesa l’odio di chi aspetta di vendicare parenti, amici, compagni morti nelle prigioni, spesso sotto la tortura. O durante le repressioni, attuate a volte col gas. Da anni ormai si parla di sostituire Bashar Al Assad. Nelle librerie di Beirut non mancano i romanzi in cui si raccontano immaginari complotti per imporre un successore, scelto tra i generali. E gli alawiti preparano da tempo una zona fortificata lungo la costa, sulle montagne affacciate sul Mediterraneo, dove rifugiarsi nel caso Damasco diventasse indifendibile. In quella regione, dove sono nati gli Assad, attorno alla città di Lattakia, i russi hanno creato negli ultimi giorni le loro basi.
Non è escluso che nei colloqui bilaterali, con Obama a New York, e a Parigi con Hollande, Putin abbia elaborato, spiegato, il rifiuto ufficiale di abbandonare Bashar Al Assad e abbia elencato le conseguenze disastrose,incontrollabili di un suo forzato allontanamento dal potere. Ed è altresi possibile che si sia accennato a un’azione diplomatica per preparare una transizione all’interno del regime, con l’accordo di alcuni moderati gruppi dell’opposizione armata. Ma non è un’operazione facile riportare la ragione in un paese in cui sono in corso cinque guerre, alimentate da amici e nemici che cambiano ruolo a secondo delle situazioni e del momento.A conclusione del vertice parigino ci si chiede se Putin stia realizzando,almeno in parte, il suo rilancio della super potenza russa,o sia caduto in una trappola.
L’Ucraina è stata quasi dimenticata. La crisi è irrisolta, ma i rapporti tra Kiev e Mosca sembrano meno tesi. Le imminenti elezioni dovrebbero svolgersi secondo le leggi ucraine, anche nei territori secessionistifilorussi. Forse Putin usa la Siria per srappare qualche vantaggio in Ucraina.Ad esempio una riduzione delle sanzioni.
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