WASHINGTON Bashar Assad ha usato molti se e ma. Dunque «se» il patto di ferro Siria-Russia-Iran fallirà «sarà un disastro per l’intero Medio Oriente». «Se» potrà essere d’aiuto non esiterà a dimettersi, «ma il futuro del Paese è un affare interno ed è inaccettabile qualsiasi dialogo con un’opposizione legata a potenze straniere». Il presidente ha ribadito vecchie posizioni in un paio di interviste, un modo per spiegare e fissare qualche paletto dopo una settimana dominata dall’intervento militare russo nel suo Paese: «I maggiori leader terroristi in Siria e Iraq sono europei», ha detto ancora.
Chi continua a credere in un negoziato potrà scorgere in quel «se» un flebile segnale di disponibilità a farsi un giorno da parte nel quadro di un processo di transizione. Chi non si fida liquiderà le parole come pura propaganda in attesa degli sviluppi militari. E per forza di cose l’attenzione è sempre su quello che annuncia ogni giorno Mosca, comunicati spesso trionfali, su militanti in fuga, linee nemiche tagliate, avversari «spaventati». Bollettini che qualche giornale amico del Cremlino condisce con mappe non proprio precise: le posizioni dell’Isis sono segnate in luoghi dove ci sono altre formazioni ribelli.
Gli ultimi report segnalano almeno 20 raid nell’arco di 24 ore contro una decina di target. Fonti locali parlano di bombardamenti nelle zone di Hama e Homs, con vittime tra civili e guerriglieri. Sempre difficile verificare tutte le informazioni. La tendenza comunque è sempre la stessa. La Russia invia uomini e materiale con un costante flusso di aerei che spesso fanno sosta in Iran. Gli obiettivi primari restano gli insorti, poi vengono i militanti dello Stato Islamico. E tutto in attesa di una probabile offensiva di terra contro le linee degli oppositori di Assad, operazione che dovrebbe essere condotta da siriani, iraniani, miliziani sciiti stranieri — spesso dimenticati quando si parla di volontari — e unità speciali russe.
L’allargamento del conflitto potrebbe presto riservare altre sorprese. I Paesi del Golfo, insieme alla Turchia, valutano nuovo sostegno ai guerriglieri. Negli ultimi giorni hanno alzato i toni in reazione alle mosse russe, resta da vedere se allargheranno l’arsenale dei mujaheddin per rendere difficile la missione di Putin.
Washington, a sua volta, pensa di giocare la carta curda. Gli Usa prevedono un invio di armi diretto in favore del movimento siriano Ypg, partito con il quale hanno cooperato con successo nella difesa di Kobane. Gli americani pensano anche a un’offensiva in direzione di Raqqa, la città nel Nordest in mano al Califfo. Il rapporto, ormai consolidato, tra curdi e gli Stati Uniti dovrà però reggere alle prevedibili rimostranze turche. Intanto i caccia di Ankara hanno condotto diverse incursioni sui campi dei guerriglieri del Pkk nella regione dell’Hakkari e nel nord dell’Iraq.
Guido Olimpio