Guerriglia palestinese in fiamme a Nablus la Tomba di Giuseppe Scontri a Gaza, 4 morti

Guerriglia palestinese in fiamme a Nablus la Tomba di Giuseppe Scontri a Gaza, 4 morti

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 GERUSALEMME . L’alba del “venerdì della rabbia” palestinese proclamato da Hamas e dalla Jihad islamica non era ancora sorta che già le fiamme avevano divorato gran parte della Tomba di Giuseppe di Nablus, il santuario venerato dagli ebrei e in misura minore anche dai musulmani.
Soffocata tra le casupole del turbolento campo profughi di Balata, la tomba è bruciata come una pira per le molotov lanciate da un centinaio di palestinesi. Un rogo che alza il livello del confronto fra palestinesi e israeliani e disegna coi suoi fumi lo spettro di uno scontro che da politico sta diventando rapidamente confessionale, alimentato soprattutto dalla contesa sulla Spianata delle Moschee. Ma è anche una sfida aperta all’Anp e al suo presidente Abu Mazen, sempre più in difficoltà per una piazza che non gli riconosce quasi più nessuna autorità. Perché la Tomba di Giuseppe di Nablus è nella zona A e dal 2000 è sotto il controllo palestinese. Sono stati i poliziotti palestinesi a sparare in aria, allontanare gli “incendiari” e avvisare i pompieri ma ormai il danno – gravissimo – era fatto.
La tomba è da decenni un punto d’attrito ricorrente in Cisgiordania e aveva già subito diverse devastazioni, nel 1996, nel 2000 e ancora nel 2002. Nablus con gli accordi di Oslo nel 1993 ha ottenuto lo status di città autonoma palestinese ma la Tomba è rimasta al suo interno come un’enclave aperta al culto ebraico. Dal 2007 i gruppi di ebrei religiosi e haredim hanno iniziato a visitare il luogo santo una volta al mese, scortati dall’esercito israeliano e in accordo con la sicurezza dell’Anp. Le visite avvenivano la notte per evitare la reazione della popolazione locale.
Il presidente palestinese Abu Mazen è corso subito a condannare il rogo di Nablus come un gesto «irresponsabile» e ha ordinato un’inchiesta e l’immediata riparazione dei danni. Ma è evidente che la sua credibilità si sta lentamente sgretolando.
Immediate le reazioni in Israele. «Questo è il risultato dell’incitamento palestinese alla violenza », ha tuonato il ministro dell’Agricoltura Uri Ariel. «L’incendio dimostra che solo Israele è in grado di proteggere i luoghi santi di tutte le religioni», dice Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri, che rivendica un ruolo maggiore per lo Stato ebraico.
Proprio questa è l’accusa lanciata dall’Anp, che di fronte a un boom di visite di ebrei ultraortodossi sulla Spianata teme una modifica dello status quo da parte del governo di Benjamin Netanyahu. Al momento gli ebrei possono accedere alla Spianata ma non possono pregarvi. Il resto della giornata è stato un crescere di tensioni, la guerriglia urbana ha devastato Nablus dopo il rogo e in serata un giovane è morto negli scontri con i soldati israeliani. La città è “sigillata” dall’Idf, non si entra e non si esce. Gerusalemme per un giorno è stata risparmiata dalle violenze.
A metà mattina al posto di controllo dell’esercito di Kyriat Arba, l’insediamento alle porte di Hebron teatro di diversi attacchi in queste settimane, si avvicina un giovane. Indossa il fratino giallo che lo identifica come un fotoreporter. E’ con questo stratagemma che riesce ad avvicinarsi a un militare e lo ferisce con un coltello: subito un suo commilitone uccide il “lupo solitario”. Uno sviluppo preoccupante che mette in pericolo tutti i media che lavorano in Israele e Cisgiordania, ed è fonte di preoccupazione anche per le forze di sicurezza israeliane: difficile distinguere il vero reporter dal falso in mezzo alla guerriglia urbana.
E’ nel pomeriggio che si accende il “fronte sud”, quello di Gaza. Al termine della preghiera, sollecitati da un discorso del leader Ismail Haniyeh diffuso dalla radio di Hamas, giovani palestinesi hanno di nuovo tentato di sfondare la rete che delimita il confine della Striscia. Sterpaglie e copertoni in fiamme, molotov da una parte. Proiettili di gomma, veri e lacrimogeni dall’altra. Due i morti e trenta i feriti di questa battaglia dall’esito scontato ma nella quale ossessivamente Hamas insiste alla ricerca di una reazione internazionale.
Difficile capire da che parte la diplomazia internazionale potrà mettere i suoi buoni uffici per allentare questa crisi. La possibilità di un incontro a tre – John Kerry, Netanyahu e Abu Mazen – è fallita. Il segretario di Stato Usa vedrà Netanyahu ma mercoledì prossimo a Berlino durante la visita in Germania del premier israeliano. Abu Mazen e l’Anp si affidano alle Nazioni Unite dove Giordania e Paesi arabi sollecitano una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza. Altre-La Francia ha depositato una bozza di risoluzione che sollecita l’invio di osservatori internazionali sulla Spianata. Un’ipotesi che il nuovo ambasciatore israeliano al Palazzo di Vetro Danny Danon ha immediatamente bocciato.
Da Washington intanto arriva l’appello di Barack Obama ai due leader perchè lavorino a fermare le violenze.


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