BARI. Scuola negata al figlio del boss. A un mese dalla prima campanella, quattro istituti rifiutano l’iscrizione, e la madre si rivolge ai carabinieri e all’ufficio scolastico di Bari, per “chiedere giustizia”.
La prima domanda, a maggio; l’ultima qualche giorno fa. Tutte con esito negativo, tanto da costringere il provveditorato regionale a intervenire, per non lasciare ancora il bimbo a casa.
Quattro le scuole che hanno dichiarato il “tutto esaurito”. Iscrizioni chiuse, senza possibilità di deroga. Una preside ha anche avvisato la mamma del bambino. «Ho bisogno di informarmi, datemi qualche giorno», prima di rigettare comunque la richiesta.
La donna, però, non si è data per vinta, e ha mobilitato Comune di Bari, Carabinieri e Ufficio scolastico provinciale. Il piccolo ha, infatti, dieci anni: dovrebbe essere tra i banchi di scuola, e invece, nella prima settimana di ottobre non risulta ancora iscritto. «Se fosse stata una mia scelta, avrei già avuto le assistenti sociali dietro la porta di casa — sbotta la giovanissima mamma — tocca invece a me andare dai carabinieri, perché poi non si dica che è colpa nostra».
La storia comincia a maggio, nella città vecchia del capoluogo pugliese. Il bambino ha un cognome ingombrante, e una storia familiare che pesa: il papà è in carcere da anni, lontano dalla Puglia, condannato per omicidio ed esponente di un clan storico di Bari. «Noi, però, siamo puliti», ripetono i nonni, che non hanno remore ad aprire le porte di casa, qualcuna in più a finire sui giornali.
Capelli all’ultimo grido, occhi vispi, la passione per le arti marziali. «Un bimbo che non sta un attimo fermo — racconta chi negli anni lo ha seguito — lo conosce tutto il quartiere ». Un enfant terrible, senza giri di parole. Terminate (a fatica) le elementari, tocca iscriversi alla prima media.
«Mi rivolgo a una scuola, vicino casa — racconta la mamma — compilo i documenti, ma non mi rilasciano alcuna ricevuta». La procedura, però, va fatta online, quindi iscrizione nulla. Seconda scuola, trattamento identico. «Addirittura la dirigente mi ha detto che doveva informarsi — continua la mamma — le ho spiegato che un bambino è un bambino, che non sapevo cosa poteva mai scoprire, e che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli».
E così la mamma ha deciso di dare battaglia, percorrendo tutte le vie possibili e arrivando a denunciare tutto ai carabinieri. «Abbiamo fatto davvero il possibile — assicurano dall’ufficio scolastico di Bari — chiamato le scuole e scritto, per invitarle a mettersi d’accordo». Ma per settimane tutto è rimasto fermo. Solo l’intervento del direttore scolastico regionale, Anna Cammalleri, quando il caso era ormai diventato a dir poco imbarazzante sembra ora aver sbloccato la situazione. «Ho trovato un istituto che accolga il bambino — assicura — per le altre che hanno detto no, partiranno delle verifiche: dobbiamo garantire a tutti il diritto allo studio, esistiamo per questo».