Tsipras: «No alla grande coalizione»
Il dibattito televisivo tra Alexis Tsipras e il leader di Nuova Democrazia, Vanghèlis Meimaràkis, ha rispettato gran parte delle previsioni della vigilia. Sicuramente più interessante di quello della settimana scorsa, al quale avevano partecipato tutti i leader politici, più veloce, anche se non determinante nell’orientare il voto degli indecisi. Secondo molti osservatori, «vincitore ai punti» del confronto svoltosi negli studi della televisione pubblica Ert, è stato Tsipras, che ha saputo essere più chiaro e diretto del suo avversario.
Meimarakis si era indubbiamente documentato, ha cercato di affibbiare al presidente di Syriza ed ex primo ministro l’etichetta del «neo sostenitore dei memorandum di austerità», ma alla fine del dibattito ha fatto uno scivolone che non è assolutamente permesso ad un uomo politico di spessore: il capo di Nuova Democrazia si è messo ad accusare la televisione pubblica di essere stata di parte, e di aver fatto apparire Alexis Tsipras, nella metà dello schermo a lui riservata durante il dibattito, «più alto di quanto non sia realmente». Potrebbe essere quasi una nota di colore, ma quando si tace su questioni importanti come le politiche sull’immigrazione (Meimarakis non ha voluto spiegare cosa intende fare per affrontare l’emergenza senza fine nelle acque dell’Egeo) e si dà importanza a questioni di cosmesi televisiva, vuol dire che si ha perso di vista l’obiettivo finale del proprio agire politico.
In due ore e mezza di confronto serrato, alla presenza di sei giornalisti, Tsipras ha dichiarato in modo forte e chiaro che non intende accogliere l’invito avanzato dal centrodestra a governare il paese insieme, in una sorta di grande coalizione, per applicare quanto previsto dal compromesso firmato in agosto con i creditori. «Lasciare il ruolo della maggior forza di opposizione ad Alba Dorata, sarebbe una vera maledizione per tutti», ha dichiarato il quarantunenne leader della sinistra greca. Quanto all’importanza della tornata elettorale di domenica, ha ricordato che «se dovessero tornare al governo le forze del passato, quelle che dicevano che non esistono alternative, sarebbe un duro colpo per chi cerca di portare avanti il cambiamento in molti altri paesi, come la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda».
Syriza, ha quindi ricordato ai conservatori greci che i loro alleati in Europa, le forze che appartengono al Partito Popolare, hanno fatto di tutto per ostacolare l’accordo della Grecia con la con le istituzioni creditrici, e per non permettere un cambio di rotta, un allontanamento dalle politiche di austerità.
«Solo voi e la Merkel avete insistito che il nostro debito pubblico era sostenibile», ha detto Alexis Tsipras, rivolgendosi all’ex presidente del parlamento greco, che ha preso in mano il timone del centrodestra nel luglio scorso, dopo le dimissioni di Andònis Samaràs. Da parte sua, Meimarakis ha cercato di spaventare i greci, prevedendo ulteriori elezioni, «poiché i candidati di Syriza non saranno disposti a votare le leggi attuative del memorandum di austerità». L’unico ad avere espresso un pensiero compiuto sulla tragedia dei migranti, quindi, è stato Tsipras.
Ha ricordato a chi vorrebbe sfruttare a fini politici la disperazione di chi fugge dalla guerra e dalla povertà, che i barconi che arrivano dalla Turchia fino alle isole greche, non hanno quasi mai degli scafisti a bordo, e che i trafficanti impongono ai profughi di tagliare i galleggianti in prossimità della riva, per costringere la guardia costiera greca ad interventi di salvataggio immediati.
«Nelle nostre acque non si possono condurre delle operazioni di guerra, e non dobbiamo dimenticarci che profughi e migranti arrivano da noi, ma vogliono proseguire il loro viaggio verso altri paesi», ha detto al suo interlocutore l’ex primo ministro greco.
Bisognerà vedere, in questi quattro giorni che ci dividono dal voto, quale delle due strategie riuscirà a prevalere. Se quella di Alexis Tsipras, che insiste nel rivendicare la diversità dei valori, del rinnovamento, della sensibilità sociale di Syriza –malgrado il compromesso con i creditori– o quella della destra di Nuova Democrazia, col messaggio che sono ormai tutti uguali, costretti ad ottemperare a quanto imposto da Bruxelles. È chiaro che una coabitazione forzata con i conservatori, segnerebbe, molto probabilmente, la fine di Syriza come forza di governo.
Vorrebbe dire obbligare la sinistra radicale greca ad applicare l’agenda dell’austerity, senza la possibilità di trattare, di proporre e insistere su misure alternative, che non colpiscano le classi sociali più deboli. Tsipras lo sa bene, ed intende lottare fino alla fine perché Syriza, domenica sera, sia il primo partito e possa scegliersi gli alleati di governo. Sperando, magari, in una possibile «redenzione» dei socialisti del Pasok, nella loro volontà di sganciarsi, dopo quattro anni, dal carrozzone del centrodestra.
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